C’era sì una ipotesi di un avanzamento delle Destre europee, tuttavia di poco rilievo. Ma le elezioni in Francia, Germania, Italia sono state un mezzo cataclisma per gli uscenti detentori del potere europeo.
Soprattutto i due “grandi” manovratori, Emmanuel Macron, in Francia, e Olaf Scholz, in Germania, hanno subito un brutto colpo, per non dire “batosta”.
Il primo è stato costretto a indire nuove elezioni per il rinnovo del Parlamento e del Governo francesi; il secondo è sceso nella graduatoria dei partiti tedeschi.
Entrambi colpiti a pallettoni dalle Destre.
Ma non è corretto descrivere in termini di Destra e di Sinistra questo terremoto. E’ corretto, invece, sostenere che i popoli europei hanno sonoramente bocciato le politiche europee imposte dall’asse franco tedesco. Ancora una volta si dimostra che la classe politica è sempre un passo indietro alle dinamiche della società civile.
Che l’establishment pro tempore non voglia cedere le proprie posizioni è nei fatti; ma è anche nei fatti che esso establishment, benché superato dall’onda dei cambiamenti in atto, è incapace di capirne la sostanza e di adeguarsi perché in fase di naturale obsolescenza.
Per dirla in termini moderni: non è resiliente; e per dirla con un proverbio popolare: non c’è uomo adatto a tutte le stagioni.
Tuttavia, la trasformazione tante volte annunciata ma considerata opinabile è in atto. Succede sempre così a chi ha la certezza del potere.
Certo le dinamiche hanno bisogno di tempo per realizzarsi compiutamente e, pertanto, anche questo quinquennio, andrà come il precedente; ma, presumibilmente in maniere più faticosa.
A metà mandato, si potrà fare un primo consuntivo. Intanto, l’asse franco tedesco vede come il fumo negli occhi la visibile rinascita italiana dove il PIL non è mortificato (+0,9% con media EU al 0,4%). Addirittura il PIL del sud è cresciuto (+1,3% con +1% al Nord/Ovest, +0,9% al Nord/Est, +0,4% al Centro); l’occupazione ha registrato una media nazionale del +1,8%; il Governo si è rafforzato nonostante la fine della luna di miele.
Il G7, nonostante le incomprensibili critiche, è stato un successo tanto che Biden, benché stanco, affaticato e ipo energetico, ha voluto lodare l’Italia per la sua politica estera, soprattutto in Africa nel tentativo di arginare Cina e Russia.
Sappiamo tutti, però, che il Presidente del Consiglio Italiano, più che fare la “brava ragazza”, può fare pochissimo con un Debito Pubblico asfissiante.
In tutto questo stravolgimento, la fortuna dell’asse franco tedesco si appoggia alla tenuta e crescita del PPE, il Centro politico europeo, dove ha trovato rifugio una parte dell’elettorato europeo scombussolato e in cerca di certezze.
E, allora, ecco la reazione dell’establishment:
1. No alla Meloni, dicono PPE, PSE, Renew Europe per bocca di Macron, Schulz, Sanchez, Tusk.
2. Non si può che rinnovare la Ursula Von der Leyen al vertice della Commissione perché già conosce dinamiche e tendenze di tutti e ha dato garanzie di affidabilità.
Non c’è ricambio; e, infatti, la Ursula viaggia verso un secondo mandato, unico nella storia europea. Tuttavia e stranamente, la sua amicizia con la Meloni è, agli occhi dell’asse franco tedesco, un punto di forza per puntellare l’attuale maggioranza ufficiale, indebolita e certamente esposta ai franchi tiratori.
Ma, come si fa a conciliare questi due posizioni antagoniste? Semplice: il mantra è che non si può tenere fuori un “fondatore”.
In questo senso, Tusk, modificando la sua iniziale posizione, è intervenuto per conto di Macron, Scholz, Sanchez, già troppo compromessi nei confronti dell’Italia.
3. Chiaro avviso alla Ursula von der Leyen che eviti un coinvolgimento strutturale di ECR (la destra moderata europea che ha, tuttavia, mostrato, con la Meloni, un apprezzabile equilibrio comportamentale).
4. Trattare, tenendo fuori l’Italia, un governo europeo che rispecchi l’attuale struttura di potere.
Il tavolo di concertazione ha dunque deciso: Ursula von der Leyen (PPE) come presidente della Commissione; Antonio Costa, (PSE) ex primo ministro portoghese, come presidente del Consiglio Europeo; Kaja Kallas (Renew Europe), premier della Estonia, come Alta Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.
Quest’ultimo è il vero colpo gobbo dell’asse franco tedesco, che rimane orientato alla guerra ucraina, come dono al trio Biden, Macron, Scholz.
L’Italia ha mostrato tutto il suo disappunto, per essere stata esclusa dalle trattative. La cosa ha indispettito perfino il Presidente della Repubblica Mattarella che ha voluto sostenere la premier avvertendo che la terza economia europea, membro di rilievo della fondazione europea, non può rimanere furori dai giochi e che la Europa è stata pensata in una logica neutrale e non partitica.
E questo è il vero pericolo per l’Europa: il sistema partitico e la “politica di relazione”, fattori di gestione del potere che di “politica” ha ben poco.
Infatti, ecco che in Parlamento, a fronte della relazione del Presidente del Consiglio sulla posizione italiana, non ci si sorprende per gli interventi di Matteo Renzi (Itala Viva) e di Benedetto Della Vedova (Gruppo misto, già +Europa, già Radicale). Il primo, Renzi, specifica che l’Europa non rifiuta l’Italia ma Meloni; il secondo, Della Vedova, sollecita ad allinearsi all’Europa. Il primo con il vizio ancestrale e immancabile della personalizzazione, il secondo con quello del vittimismo e servilismo.
Tuttavia l’Italia è un “passo avanti” alla politica europea ed è in posizione favorevole, nonostante la irritazione della premier per il trattamento ricevuto.
Se la trattativa con la Ursula von der Leyen risponderà alle attese espresse dalla Meloni in Parlamento quali un ruolo di primo piano per l’Italia, un commissario di peso significativo, deleghe di rilievo; ma anche, per ECR, ruoli importanti e cruciali per incidere nel processo legislativo; la questione si potrà comporre con beneficio di tutti. Altrimenti l’Italia ed ECR potrebbero decidere di astenersi sia in Consiglio che al Parlamento Europeo. Ciò renderebbe fragile la futura maggioranza perché è molto probabile l’affiancamento di Viktor Orban e di Marine Le Pen; tutti in attesa degli esiti delle votazioni in Francia.
La vita della EU, nel prossimo quinquennio, potrebbe essere turbolenta.
In conclusione, PPE, PSE, Renew Europe hanno concertato. Ora si dovrà vedere cosa concluderanno la Ursula e la Meloni, a quattr’occhi, in vista della riunione del Consiglio europeo e in vista della Assemblea Parlamentare che ha il compito di ratificare le nomine. Noi pensiamo che si arriverà ad un accordo soddisfacente per entrambi le leader perché conviene tutte e due, ma anche, tutto sommato, a tutta l’Europa.
Antonio Vox