Trascorriamo un periodo di frenesia emotiva, affaticati da una sequenza ininterrotta di elezioni: municipali, regionali, europee.
Ogni elezione sembra un giudizio universale perché il premio è il “consenso”, strano sostantivo generico mai ben classificato in politica.
Quello che si può dire è che il “consenso” è anche una droga speciale.
La stessa droga che assumono gli artisti quando salgono sul palco offrendosi ai fans sfegatati in delirio; quella che assumono gli influencer con i like conquistati; quella che assumono i professionisti dello sport quando vengono festeggiati per loro fantastiche prestazioni.
In sostanza quella dei “divi” che eccita l’Ego e li trasforma in dei.
Infatti, come tutte le droghe, anche questa, speciale, non porta che guai.
Purtroppo, però, qui siamo in “politica”.
La “Politica” è una cosa nobile, infarcita di valori, visioni e competenze, perché si tratta di “disegnare”, oggi per il domani, il futuro della Polis.
Come tutti dovrebbero sapere, non è facile costruire un “edificio innovativo” avendo vincoli, costumi, abitudini, idee obsolete e non più aderenti ad una società socio economica in dinamica evoluzione.
La “Politica” è cosa nobile, eppure tutti dicono che è corrotta.
Questa, a nostro parere, è la più grande idiozia che si sia mai sentita.
Infatti è come dire che l’Architettura è corrotta quando, invece, è corrotto l’architetto. Anche se fosse corrotta una gran percentuale di architetti, la Architettura non può dirsi corrotta.
L’Architettura è una scienza proprio come la Politica.
C’è, però, una differenza: mentre non tutti pensano di essere architetti; tutti si credono in grado d’essere politici.
E’ quello che ha insegnato l’era del disastro dei 5S!
Il famoso “uno uguale uno” o “uno vale uno” è il tragico presupposto della idea populista che ognuno sia adatto a ricoprire qualunque ruolo, senza distinzione.
Ed ecco che sorge la competizione, per dire meglio lo sgomitare con qualunque mezzo, per andare a sedersi su di una poltrona, per essere pagato e riverito.
Ma l’idiozia rivela, soprattutto, a che livello civile e culturale sia giunta la società dopo l’indefesso martellamento mediatico (a cominciare dal cinema) che ha insegnato la DICOTOMIA nella vita: buono e cattivo, bianco o nero, non c’è altro! Il risultato? Se sei bianco, quando io sono nero, sei nemico, a prescindere, senza appello e senza pietà. E viceversa.
Questa è la morte della vita civile, della progettualità, del pensiero critico.
Drogati dai consensi, o dalla illusione di essere amati perché noti (ciò capita spessissimo per chi esercita professioni di visibilità pubblica), ci si dà da fare a “fare politica”, soprattutto se non esclusivamente, nel periodo pre elettorale. Che importa se non si ha nulla da proporre: può darsi che ci scappa il posto!
Infatti, ci si candida perché si è noti e non perché si possiede una proposta politica: tanto, il cosiddetto “programma elettorale” non serve a nulla!
Ma con tutta questa frenesia, ci si dimentica che alcune spie sono accese da tempo. I sedicenti politici le guardano, queste spie, con occhio spento e disinteressato e nulla fanno; eppure sono critiche come quella dell’olio.
Quali spie?
Una la conoscono tutti: l’astensionismo.
Nelle ultime tornate elettorali, quelle regionali di Sardegna, Abruzzo e Basilicata, l’astensionismo ha raggiunto livelli ragguardevoli: addirittura del 50%. Se ne è accorto anche il Presidente Mattarella: “Andate a votare: l’Europa ha bisogno di riforme”. Purtroppo, di proposte di riforme dell’Europa, in giro, non si vede traccia.
Ma che significa tutto questo astensionismo?
Significa che il settore politico non interessa più: è, ormai, cosa per addetti irriducibili come quelli che hanno nel sangue la ludopatia.
Sembra quasi che sia radicata e diffusa, fra questi sedicenti politici, l’incapacità di resistere al desiderio di cimentarsi nelle tornate elettorali: c’è la probabilità teorica di guadagnare molto, ma con un rischio modesto e comunque sopportabile.
Come ci si accorge che questo è il punto di vista dominante?
In primo luogo, dal fatto che il dibattito politico si concentra esclusivamente sulle alleanze con il solo obiettivo di “aumentare i voti”.
Un esempio è il “campo largo”, dove si mette insieme tutto e tutti, indipendentemente dalla visione politica di ciascun partner e da un condiviso disegno prospettico.
In secondo luogo, dal fatto che si va a caccia, per comporre le liste, di “grandi elettori” cioè di persone note acchiappa voti; e, finito questo turno, si apre la caccia agli innominati con il ruolo di “candidati di servizio” e di “portatori d’acqua”.
Come si può pensare che questa modalità comportamentale non acuisca ancora di più il tasso di astensionismo e non inquini ulteriormente lo scenario, nel senso etico morale e spesso legale?
Prendiamo, ad esempio, il fenomeno delle liste civiche.
Nate come una risposta “territoriale” e “concreta” per superare gli interessi partitici, sono diventate “liste morte” a supporto dei partiti nazionale, per lo più composte da una eterogeneità di personaggi, senza arte né parte, che hanno la funzione di garantire e assicurare un migliaio di voti. Qualche esperto “signore della politica” si è inventato questa tecnica che si è diffusa rapidamente tanto che si fa a gara fra chi dispone di più liste civiche nella propria gerla.
L’astensionismo, però, è ancora più grave di quello che si presume. Non si rivela soltanto nella fase del voto; è anche nella fase della candidatura.
Cioè a dire che non si trovano candidati.
La fuga dai territori della politica è totale, voto e candidatura.
Questo fenomeno è diffuso, ma la sua dimensione vera si esprime nei piccoli comuni. Pensate un po’, dal Veneto alla Calabria, oltre una decina di Comuni non andranno al voto per mancanza di candidati e tantissimi comuni (solo nel bergamasco 26) hanno, a mala pena, un solo candidato sindaco. E, allora spazio ai commissari prefettizi. In tantissimi centri, piccoli e piccolissimi, nessuno vuole fare il sindaco. Come mai? Certamente, una grave colpa ha la politica che, incapace e disinteressata, è rimasta spettatrice passiva di una estrema desertificazione dei territori interni che costituiscono una grande ricchezza italiana. Sarebbe opportuna e necessaria una strategia politica di integrazione, di crescita economica e sviluppo sociale di queste aree dimenticate. IN questo scenario emergono due fattori: da un lato, disinteresse totale verso la politica ma anche stipendi bassi, impegni burocratici troppo gravosi; dall’altra, piccolo comune, piccolo budget.
Eh si! Due fattori: astensionismo totale e scarso guadagno. I due fattori, quello della sfiducia nella politica e quello del guadagno si intersecano e si integrano.
Quindi, nei piccoli comuni c’è astensionismo e diserzione; nei grandi comuni c’è astensionismo, diserzione anche ma una grande ressa, senza esclusione di colpi, di candidati sindaci.
Questa, purtroppo, è la questione dominante: come mai è possibile che a fronte di astensionismo e diserzione del 50% ci sia una ressa così alta?
La risposta sembra banale: l’astensionismo è fattore politico; la diserzione è fattore politico; la ressa è fattore economico.
Tesi avallata da un altro dato sorprendente: in Italia, ogni anno, vengono commissariati, in media, circa 200 comuni. Quali le cause? Contrasti politici nella maggioranza; incapacità di approvare i documenti di bilancio; la decadenza del sindaco per sfiducia, le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Il che dà evidenza al fattore economico, etico e morale.
Siamo in presenza di una vasta crisi di democrazia: fin quando si darà preferenza a persone e simboli e non ai piani politici prospettici, lo scenario si aggraverà.
Antonio Vox