Vi ricordate, quando le cose andavano bene, che scherzavamo, ironizzando su noi stessi, dicendo “siamo tutti allenatori”?
Beh! Ci sentivamo autorizzati a definirci “esperti di calcio” per il solo fatto che da piccoli avevamo giocato a pallone e da grandi, sprofondati in poltrona, vedevamo le partite alla TV.
Non ci passava neanche per l’anticamera del cervello che questa nostra vita era “di pancia”; di cervello, poco o niente.
Oggi, non è cambiato nulla.
Il fatto stesso che quotidianamente, nell’ordine, scambiamo merce, discutiamo cercando di convincere l’interlocutore, programmiamo i nostri appuntamenti della giornata, facciamo di conto sui soldi al mercato, ebbene, pensiamo di essere esperti di economia, marketing, organizzazione, politica monetaria.
Senza citare pandemia e virus, nel quale tema siamo, per la gran parte, premi Nobel.
Ho conosciuto, per caso all’INPS, una persona settantenne, pensionata da € 731 mensili, a livello della soglia di povertà assoluta.
Ecco cosa mi ha detto, quasi confessandosi:
“Posseggo una credenza fiorentina rinascimentale del ‘500. Non so più chi l’abbia acquistata se il mio bisnonno, mio nonno, il mio papà. Fatto sta che, oggi, è nella mia proprietà. Ne sono affezionato e per me è un valore; mi costa un po’ per manutenerla e mantenerla integra e preservata dagli agenti degenerativi. Vorrei venderla perché ho bisogno di soldi. Ma non sapendo classificarne il valore in termini di euro, dollari o altra moneta, perché ne conosco solo quello mio affettivo, mi sono rivolto ad un amico esperto di antiquariato. Il fatto che sia mio amico da vecchia data e non l’abbia pagato per la perizia, non credo infici la sua esperienza e la validità del suo servizio.
La valutazione è stata di € 6.000,00 tondi. Mi sono sentito “ricco”; ma non vorrei che qualcuno mi abbia spiato; per esempio, il Fisco, che mi potrebbe chiedere, per la mia semplice proprietà comunque costosa, una qualche percentuale del valore. Questo Fisco, sapete, è oltremodo vorace perché si permette di finanziare uno Stato con oltre 1.000 miliardi di euro di spesa pubblica (cifra molto alta in relazione alle fragili gambe della odierna economia reale) e sarebbe capace di sostenere che, con questa proprietà, sono oltre la “soglia di povertà”: uscirei dalle statistiche, con tutti i problemi connessi ad eventuali benefici.
Questo Fisco sarebbe capace di assegnare un reddito “virtuale” alla mia proprietà e pretendere, come detto prima, una percentuale di questo valore “convenzionale”. Infatti, già lo fa per la casa, per l’auto etc.
Se accadesse così, non saprei come pagare. Potrei rispondere che un reddito “virtuale” va pagato con “moneta virtuale”; ma il Fisco non ammette ragione: ci mette poco, gli basta deliberare una norma.
A quanto debbo vendere la mia credenza? Il valore di € 6.000, al di là del valore affettivo, mi sembra equo.
Ho saputo, però, che, oggi, l’inflazione si va attestando oltre il 6%. Che significa questo? Che per comprare uno stesso bene non basta più, ad esempio, i 100 euro di prima, ma ne servono € 100 + il 6%: cioè € 106. Allora la mia credenza, oggi, vale € 6.000 + il 6%: cioè € 6.360.
Non so proprio cosa fare”.
“Ma guarda come è ridotta la gente” – ho pensato fra di me – “ha il terrore di un Fisco impazzito e di una Burocrazia demenziale”.
E, poi, mi sono domandato: quello che mi è stato raccontato non è forse tutto virtuale? Non ha niente a che fare con la realtà!
Il valore della moneta è virtuale; il valore affettivo del bene è virtuale; il valore periziato dall’esperto è virtuale; il valore eventualmente definito dal Fisco è virtuale; il valore dell’inflazione è virtuale; la “ricchezza” del mio conoscente settantenne è virtuale.
Dopo qualche giorno, son venuto a sapere che la persona settantenne ha venduto la sua credenza fiorentina rinascimentale del ‘500.
Quale il prezzo pattuito? Un bel gruzzoletto di € 5.000 tondo tondo.
Cosa è successo?
È successo che il venditore e l’acquirente si sono trovati d’accordo sul valore da assegnare alla credenza (nonostante la perizia dell’esperto) e il valore da assegnare a € 5.000 (pur in presenza di inflazione): valori considerati da entrambi gli attori della transazione come congrui ed equipollenti.
Cosa impariamo da questo evento?
Impariamo uno “scorcio di economia”, forse quello più importante: l’economia è “scambio merce” governato dalla “regola della domanda e della offerta”.
Impariamo che il “reale” valore economico (del bene e della moneta) lo definisce ciascun attore della transazione commerciale.
Impariamo che ogni altro valore indicato da terzi (dalla perizia o finanche dallo Stato) è del tutto fittizio, convenzionale, burocratico e non ha niente a che fare con la realtà.
Impariamo che l’economia si basa sui valori “reali”.
Sembra proprio di rivedere la teoria della Fisica Quantistica che sostiene che le caratteristiche di una particella che vaga libera nello spazio non si conoscono nemmeno in linea di principio (al più si potrebbero ipotizzare, ma sarebbe inutile) finché non essa non subisca una “reale” misura.
Il sistema del pensiero umano, economia o fisica che sia, funziona allo stesso modo.
Infatti, per tornare al nostro caso, non è detto che il nostro settantenne non possa decidere di scambiare la sua credenza con zero euro.
Qui, allora, vogliamo ricordare l’articolo 53 della Costituzione Italiana che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, dove la “capacità contributiva” è certamente data dal reddito “reale”.
Non sembra dire, la nostra Carta, che la proprietà, in quanto tale, non producendo reddito reale ma essendo solitamente causa di costi, non può essere equiparata a reddito?
Lascio al lettore le considerazioni politiche nel merito; considerazioni che appaiono essere parecchie.
Antonio Vox
Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile