Penso che ormai sa chiaro a tutti che stiamo vivendo un momento storico importante per tutta l’umanità e ormai, anche il più refrattario a interpretazioni non conformiste, ha dovuto accettarlo. Dal cambiamento climatico e la siccità/scioglimento dei ghiacci, dalla pandemia al controllo sociale, dalla crisi della società capitalistica/consumistica al cambio del sistema finanziario, alla globalizzazione.
Molti importanti capisaldi della società mondiale sono in discussione e ormai, anche i più inconsapevoli, ne sentono l’inquietante e inderogabile scontro con nuovi e imprevedibili (per i più) format sociali.
Si, perché di uno scontro si tratta, non di un’evoluzione o cambiamento che avrebbe dovuto essere progressivo, lento e condiviso da una umanità, seppur non del tutto consapevole, per lo meno informata e accompagnata.
Dite che è una pretesa ingenua e utopistica? Si, è vero, lo ammetto.
Quello che faccio fatica ad ammettere e, soprattutto, a capire, è però come anche persone di spessore culturale sopra la media e impegnati politici o sociali continuino, per la maggioranza, ad analizzare la situazione a livello nazionale se non addirittura territoriale in senso stretto.
Provo a spiegarmi: la situazione economica del nostro Paese è legata si o no alla politica europea/mondiale? La politica nazionale è influenzata da quella estera? La gestione della società, della sanità, delle risorse è condizionata da Bruxelles, dalla BCE e dalla finanza Internazionale?
Se siamo d’accordo con questi presupposti, non sarebbe il caso di fermarci a pensare come fermare questa corsa impazzita senza che ci sia stata data la conoscenza della metà?
Questa domanda mi sorge spontanea in seguito all’attuale esperienza del nostro impegno quale gruppo politico che a sua volta, da mesi, si confronta con altri in uno sforzo titanico di crearne uno grande e compatto.
Encomiabile lo sforzo di noi tutti nel cercare temi da condividere e sviluppare in programmi politici che diventino progetti per il Paese.
Recentemente ho provato a stimolare l’analisi in un contesto internazionale auspicando un incremento di relazioni con altri gruppi emergenti dei Paesi UE allo scopo di confrontare situazioni e sviluppare strategie comuni che si oppongano efficacemente alla deriva totalitaria che sta avvolgendo il mondo occidentale. Sono stato accusato di complottismo e di forviare le energie da indirizzare su proposte concrete per il nostro Paese.
Personalmente condivido l’intento, ovviamente, ma non la strategia.
Mi sembra evidente che se le premesse che ho scritto corrispondono al vero, è anche evidente che pensare di opporsi con le esigue forze di un piccolo gruppo solitario (pur anche con previsioni ottimistiche di allargamento) rinunciando a possibili sinergie internazionali in una battaglia comune è quantomeno ottuso e limitante.
Credo che questa sfida che definisco, senza tema di apparire ridicolo o enfatico, epocale, debba essere combattuta a livello internazionale e subito. Il nostro ormai famoso provincialismo non deve, per l’ennesima volta, limitare possibilità sinergiche che potrebbero aprire nuovi fronti e possibilità.
Questo pensiero lo lancio come stimolo e provocazione per tutti coloro che stanno pensando di dare un contributo a questa lotta che definirei di sopravvivenza. Sopravvivenza della nostra cultura e libertà, ma soprattutto della dignità che viene dal rispetto dai principi e dei valori espressi dalla nostra Costituzione. Ormai in tutti Paesi cosiddetti democratici Occidentali il popolo obbedisce a governi che non rappresentano il suo volere. È ora di rimettere le cose a posto e fare capire che i nostri dipendenti non possono essere i nostri padroni, ma per realizzare questo è impensabile farlo da soli.
Massimo Gardelli – Sistema Paese