Ho cominciato a leggere con interesse il numero speciale sulla nautica italiana del settimanale Panorama curato dall’eccellente Maurizio Belpietro. La carrellata storica di una delle nostre eccellenze nonchè fiore all’occhiello della PMI italiana non può che fare gonfiare il petto a chi tiene ancora al nome del nostro Paese e al suo genio apprezzato nel mondo.
Ancor più a chi, come me, di questa passione ne ha creato il lavoro che ancor oggi mi vede attivo anche se non più intensamente come un tempo.
Navigo a vela da 55 anni e sono stato promotore e dirigente di una associazione nazionale del Gruppo UnionCamere/Assonautica, ho frequentato come cliente, agente del settore e imprenditore il Salone Nautico di Genova e non solo.
Mi permetto quindi di definirmi un buon conoscitore del settore e della sua storia nell’ultimo mezzo secolo.
Lo spunto che mi ha sollecitato a scrivere questo articolo non è però l’enfatizzare le palesi attitudini al bello e al genio tecnologico della imprenditoria nautica italiana ma, essendone stato partecipe, alla gestione politica della stessa. Ricordo gli anni ’80 del boom dello “yachting” made in Italy e di come è stata la reazione della politica di quei tempi.
Si, è vero, i Ministri italiani si sono alternati in passerelle il giorno di apertura del salone di Genova onorandoci della loro presenza.
Solo una delle tante promesse di aiuto è stata mantenuta e fu quella del Ministro dei trasporti Burlando che, con una discutibile legge, riuscì comunque a dare un o’ di ossigeno alla piccola nautica.
Piccola nautica che, ricordo a Belpietro che sicuramente saprà, è stata strozzata e trangugiata dai grandi cantieri relegandola sempre più a terzisti; l’UCINA (ora Confindustria Nautica) ha monopolizzato il settore privileggiando la grande cantieristica ma con una forma di sudditanza verso i grandi marchi ostacolando un network collaborativo con le piccole imprese sempre più costrette a accettare pagamenti da fame. Politica lobbistica che però non ha dato grandi risultati ai potenti, visto che Ferretti (che include brand come Riva, Mochi Craft, Pershing, Baglietto) e l’anno scorso purtroppo anche Perini Navi, sono state acquistate a prezzo fallimentare dai cinesi.
Poco meglio i sopravvissuti da sempre indebitati fino al collo.
Partecipe e complice di questa strage, dicevo, la politica italiana che ha utilizzato la nautica come capro espiatorio dei loro fallimenti e iconizzando l’industria del lusso quale simbolo dei ricchi evasori e del male sociale con il plauso della maggioranza del popolo manipolato nell’accettare questa narrazione; non ultimi i sindacati che si sono prodigati per fingere di salvare poche centinaia di posti di lavoro negli altri settori mentre le decine di migliaia di lavoratori della cantieristica da diporto sono stati abbandonati: lavoratori di seri B?
Non si capisce per quale motivo lo stesso metro non sia stato usato per l’automotive visto che il popolino s’inorgoglisce quando si parla di Ferrari, Maserati, Buggatti etc quali fossero normali beni di consumo?
Fatto sta che dai fine anni ’80 a oggi, l’Italia nautica ha perso circa 200.000 posti di lavoro (cifra sottostimata considerando l’indotto), persi i più bei marchi al mondo dell’italian style che, quando va bene sono stati svenduti a straniero peggio, come Dalla Pietà e C.C.Y.D. e altri, chiusi e caduti nell’oblio dei nostri vecchi allori.
Allori con cui l’italiano tende sedersi e lodarsi leggendo servizi come quello di Panorama che, sottolineo ancora, in modo encomiabile ci ricorda cosa siamo e cosa siamo capaci di fare ma che, per chi non è del settore o non è un attento osservatore, tende a nascondere quello che effettivamente abbiamo e quello che saremmo potuti essere.
L’Ucina, con la sua gestione monopolistica anche del salone nautico che il Comune di Genova, incomprensibilmente gli ha dato per decenni in gestione senza gare di appalto pubblico annuali e in modo privatistico tanto da lasciare a esclusivo uso privato il marina per il resto dell’anno. Marina lasciato per decenni senza una adeguata manutenzione con buche piene d’acqua nelle strade interne con l’asfalto distrutto, dove i visitatori giocavano a salterello nei frequenti giorni di pioggia, e una rete fognaria delinquenziale che s’intasava ogni due per tre con gli scarichi “speciali” dei ristorantini del Salone. Sfortunatamente non è oro tutto quello che luccica, il nostro Boat Show, confrontato con Parigi, Dusseldorf, Londra, non può competere nè in stile, nè in dimensioni/importanza. Avrebbe potuto esserlo certamente se consideriamo che il 70% del turismo mondiale nautico si svolge nel Mediterraneo e noi, con la nostra penisola, ne siamo strategici protagonisti. Lo hanno capito sicuramente da tempo i vertici della Nato ma non i nostri ministri del Turismo e dei Trasporti (?)… si perchè la nautica, mercantile e da diporto, viene amministrata dallo stesso Ministero che amministra il trasporto rotabile su gomma e su ruota. Basti pensare che i porti e marina sono siti in aree Demaniali, una gestione complessa; le Direzioni Marittime sono 15 e i direttori vengono eletti direttamente dal Presidente della Repubblica; abbiamo 8.300 km di coste e noi andiamo abolire uno dei Ministeri più importanti e articolati per la nostra economia?
Negli anni ’97-98 la Jeanneau, il terzo cantiere di barche da diporto francese, fu acquistato e salvato da Beneteau, altro grande cantiere francese, grazie alla defiscalizzazione temporanea e aiuti finanziari della nautica voluta dal governo Francese in aiuto alla crisi temporanea salvando migliaia di posti lavoro e creando poi il più grande polo cantieristico da diporto del Mondo. Ecco come si fa la politica, ecco come si “creano” posti di lavoro, innanzi tutto salvandoli! Nel nostro Bel Paese invece si aiutano le lobby, si mischia politica, interessi e finanza, si aumentano i vincoli burocratici e si trasformano i corpi preposti al monitoraggio e sicurezza in “gabellieri”.
E’ evidente che i fattori menzionati (incapacità, lobbismo, mancata rete tra imprese, politica) hanno contribuito a portare una della voci più importanti del nostro PIL, circa 7%, ovvero il turismo (con un contributo di circa 6% di forza lavoro) a una delle peggiori performance europee e il turismo nautico è stata una debacle. Ora sta timidamente riprendendo, complice, a quanto pare, sorprendentemente la pandemia, ma ancora una volta è una ripresa spontanea, non programmata e tanto meno coadiuvata e gestita. Come al solito si lascia alla libera impresa il compito di risorgere per poi attendere il momento opportuno di bastonarla un’altra volta: altro che disegno programmatico.
Quindi, grazie a chiunque evidenzi le nostre potenzialità, la nostra storia, ma attenzione l’economia reale ha bisogno di collaborazione, di consapevolezza e, soprattutto, di persone di spessore e illuminate che abbiano un progetto per il Paese. Tutto è sinergico, è collegato; non c’è più spazio per gl’improvvisati e i faccendieri.
Massimo Gardelli – Sistema Paese Economia Reale & Società Civile