Ci si va convincendo che il reale problema che abbiamo, come Umanità, come Europei, come Italiani, sia la parola. Per due motivi: il primo è che si è perduta l’ampiezza del vocabolario e la conoscenza del reale significato delle parole, deformato, contorto, interpretato, abusato, stiracchiato. Uno che parla è sicuro di quello che vuol dire, ma non c’è certezza di cosa e quanto l’interlocutore capisca.
Il secondo è che si è abituati a classificare l’interlocutore nella modalità On/OFF, Bianco o Nero, con me o contro di me. La condivisione, o meno, della opinione o pensiero dell’interlocutore fa di quella persona, in automatico, un amico o un nemico: qualunque siano le sue argomentazioni.
Tutto questo si traduce in disprezzo delle identità, in costrizione delle libertà, in mortificazione delle dignità, esercitati proprio da chi, a parole, strenuamente ma ipocritamente, sostiene questi valori.
Vi pare poco?
Non è a dire che questa fenomenologia umana non fosse presente nel passato, di qualunque era; c’era, eccome!
Ma nei tempi odierni di evanescenza dei confini, altrimenti detta di globalizzazione, per merci, capitali e uomini; di scienza della comunicazione, sempre più sofisticata nell’assolvimento del proprio ruolo di convincimento e plagio, fino a creare vere e proprie irreali e virtuali costruzioni; di sbrigativa interazione che elude ogni approfondimento e promuove la superficiale “sloganizzazione” della cultura; rendono il fenomeno addirittura dominante facendo emergere prepotente il lato negativo dell’uomo.
È del tutto evidente come agevolmente si diffonda il “dialogo da bar”, senza costrutto né obiettivo, pari all’inconsistente moto browniano.
Bianco o Nero? Si dimentica che la vita umana è fatta da “50 sfumature di grigio”.
Ciò accade, ad esempio, per quanto riguarda la Guerra che attanaglia, oggi, addirittura il mondo intero: quella Russo/Ucraina.
Pro-Russia o pro-Ucraina è la scelta. E se per caso la tua posizione è in una area di analisi “grigia”, allora i rischi, di essere tacciato come persona equivoca, inaffidabile, ambigua e sospetta, sono molto alti.
Non ci si ferma, nemmeno per un istante, a considerare che le guerre, tutte le guerre, non le fanno le genti: queste sono quelle che le subiscono e ne pagano, in toto, le conseguenze.
Non ci si ferma, nemmeno per un istante a considerare che le guerre, tutte le guerre, vanno condannate perché le vogliono i potenti per perseguire i loro inconfessabili obiettivi, le protraggono fin quando vogliono loro e siglano accordi di pace quando decidono loro.
Le combattono, invece, le genti con il sangue, le fatiche, la distruzione, le devastazioni, l’odio dilagante, lo scempio del sociale e della economia.
La storia è raccontata attraverso le guerre che vogliono i potenti: è il loro gioco del Monopoli. Loro si divertono così, dimentichi delle genti, plagiando le loro menti, usandole come pedoni la cui esistenza è irrilevante, e, infine, premiandole con futili lodi all’eroismo e con medaglie al valore.
E, quelle stesse genti, dopo aver messo in gioco la propria vita, i propri beni, la propria casa, subito emigrazione ed essersi indebitate, debbono anche riscostruire.
È innegabile che questa guerra maledetta, stranamente la più documentata a dimostrazione di grandi interessi in gioco, è combattuta fuori dall’Ucraina.
Da un lato Biden, con il suo incedere incerto, sempre in procinto di salire su di un elicottero o su di un aereo; Johnson, con il suo incedere curvo e scapigliato, sempre ripreso, frettoloso, mentre attraversa Downing street con la borsa sotto il braccio; Draghi, compassato e plumbeo, sempre alla scrivania o al tavolo delle conferenze, da impiegato modello; Zelensky, sempre in tenuta semplicemente militare, mentre impersona la parte di eroico condottiero resistente;
dall’altro Putin, sempre in perfetta tenuta aplomb, parsimonioso e composto nel parlare, impegnato nella parte di statista.
Quest’ultimo sembra solitario ma, sullo sfondo, si nota Xi Jinping, nella parte di osservatore attento e riflessivo, a guisa di felino appostato, che ha già ammonito due volte l’Occidente; come due volte sono state gli ammonimenti russi all’Italia che appare, stranamente, in “prima linea” nel conflitto, pur disastrata nella economia reale.
Questa guerra è tanto importante che anche le Chiese si sono schierate: quella cattolica romana di Francesco; quella ortodossa russa di Kirill.
Il processo dell’escalation si è ripetuto immutabile attraverso la comunicazione: differenziazione, discriminazione, colpevolizzazione, criminalizzazione.
Un processo ben sperimentato, tanto che due popoli quasi apparentati, ora si odiano. Un processo comunicativo mondiale: tutti sono chiamati a concorrere; in un mondo pieno di conflitti eternamente irrisolti, svetta la guerra ucraina.
Ma che c’entrano le genti, in queste assurde diatribe di guerra?
Il sangue versato è loro, le case sventate sono loro, i supplizi sofferti sono loro, i danni subiti sono loro; i profughi sono loro, loro sono le fatiche per la ricostruzione.
Ci si combatte in nome di ideali costruiti ad arte mentre i reali motivi dei conflitti sono altri, economici e di potere.
I veri giocatori della partita, quelli che distruggono le identità delle genti, quelli che annichiliscono i diritti delle libertà naturali, quelli che sviliscono le dignità dei popoli, sono altrove, al sicuro.
Il nostro è un mondo di guerre, un mondo la cui storia si narra proprio attraverso le guerre; mentre, intorno a quei veri giocatori che pescano nel torbido dell’animo umano, si affolla uno stuolo di giannizzeri vocianti che, cinici e arroganti, favoriscono le strategie degli interessi.
A mala pena le umili genti si sono liberate del medioevale “ius primae noctis”, per ricadere nelle reti di degenerazioni più sofisticate.
In una società sempre più globalizzata, anche i conflitti diventano globali.
Non è forse il caso che le genti comincino a gridare “Basta!” a questi potenti? Non è forse il caso di abbattere il muro fra potenti e umili? Non è forse il caso di valorizzare le proprie identità, a fatica costruite nel tempo, affermando la inutilità delle guerre? Non è forse il caso di reclamare le proprie libertà naturali? Non è forse il tempo di acquisire consapevolezza dei plagi e delle fake news cui le genti sono soggette? Non è forse il caso di sedersi, invece di combattere, ad un tavolo conviviale ricacciando i prepotenti e potenti che, chiaramente complici nei loro giochi, tali sono perché ci sono le umili genti?
Queste, le umili genti, sono la reale Umanità: è tempo, tuttavia, che si svegli.
Antonio Vox – Presidente Sistema Paese – Economia Reale & Società CivileFacebookTwitterWhatsAppEmailPrintCondividi