Il male del secolo

birilli

È palpabile il disagio dei popoli. Non si tratta di un fenomeno locale. Lo si può constatare in tutte le Nazioni, soprattutto in quelle Occidentali a cominciare dalla più grande, quella democratica e liberale che si chiama Stati Uniti d’America.

Da che dipende questo disagio? Da un lato, i popoli non capiscono più la politica ma, intanto, evolvono silenziosamente, perché l’evoluzione è un dato di fatto naturale; dall’altro, la politica rimane inesorabilmente indietro e, così, non riesce più a interpretare le dinamiche della Società e a progettare un percorso prospettico. Accade come nel processo che porta ai terremoti: le tensioni si accumulano, lentamente e ignorate, e si fanno sempre più marcate fino alla esplosione immancabile.

Ecco che, da più parti, emerge, diffondendosi come un virus nella opinione pubblica, la coscienza della necessità di un “cambio di paradigma”; senza però aver la consapevolezza di cosa ciò voglia effettivamente significare. Prendono corpo sostantivi, i cui contenuti non si sanno declinare perché ancorati a visioni obsolete, come innovazione, transizione, resilienza, solidarietà, e così via. La verità è che, in fondo, si ha paura del “cambio di paradigma” perché, nonostante se ne avverta la necessità, appare come un “salto nel buio”.

Si è immersi in una sorta di “visione meccanicistica” del mondo da cui si vuole uscire perché è diventata una gabbia, ma si ha il terrore di cosa ci si può aspettare là fuori.

Ma, diamoci un po’ di coraggio e raccogliamo le idee: per distrarci, facciamo quattro salti nella Storia.

Che cos’è il Meccanicismo? È quella concezione della Natura, nata nel 17° secolo, che interpreta ogni evento come effetto di una causa, secondo regole precise e determinate.

Si sposa, perfettamente con il determinismo del pensiero tecnico scientifico che ha dominato la fisica prima dell’avvento delle equazioni di Maxwell (teoria dell’elettromagnetismo) e di Newton (Teoria della Gravitazione Universale).

Il Meccanicismo avrebbe dovuto essere già superato, ma è duro a morire, tanto che non è ancora morto; anzi produce i suoi effetti letali nella Società.

La concezione meccanicistica della Natura raffigura il mondo come un meccanismo, una macchina complicata ma sempre macchina: tutto è ordine e regolarità né potrebbe essere diversamente.

Due sono gli aspetti negativi di questa visione del mondo. Vediamo quali. Chi ha sintetizzato la concezione meccanicistica è stato, nel 1814, il grande genio matematico Pierre Simon Laplace che scriveva: “Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto di un dato stato anteriore e come la causa di ciò che sarà in avvenire”.

Ecco il primo aspetto negativo: tutto è conseguente; conosciuto l’oggi si sa per certo cosa succederà domani. In altri termini, via il “libero arbitrio”; via l’Uomo. Tuttavia, le Teorie di Maxwell e di Newton imbarazzarono i sostenitori del Meccanicismo perché introducevano realtà fisiche invisibili che, per di più, agivano a distanza, del tutto incomprensibili. Alla fine, però, queste Teorie furono accettate tanto che la visione deterministica, addirittura, si rafforzò e si incancrenì in tutti i temi sociali. L’altro aspetto negativo è la scomparsa di Dio che è un ineludibile fattore di umanità. La tesi è questa: Dio, forse, ha creato l’Universo, poi lo ha avviato in tutte le sue componenti non esclusa la vita. Una volta avviata la macchina, tutto funziona con regolarità e prevedibilità perché tutto è determinato. Dio, se pur creatore, non serve più.

Ecco i due aspetti tremendamente negativi: la scomparsa dell’Uomo; la scomparsa di Dio.

Già di qui si può intravedere il perché del disagio dei popoli.

Cosa ci si poteva attendere da una tale visione meccanicistica e deterministica? In primo luogo, un ritorno di fiamma per il Materialismo dove tutto è riconducibile a Materia e dove non si prevede alcuna presenza di indirizzo spirituale al di sopra della Materia stessa; e, poi, se l’Universo è una macchina regolare, allora, per studiarla, basta smontarla nei suoi componenti e studiare i singoli componenti.

E questo è “Riduzionismo”: semplificare per conoscere.

Ma, prima di addentrarci nel “Riduzionismo”, non si può non prendere atto che la incoerenza dello scenario intellettuale era acquattata sul fondo e minava la diffusa visione dominante.

Infatti, con le onde elettromagnetiche di Maxwell e i campi gravitazionali di Newton, i singoli componenti della macchina del mondo perdevano inesorabilmente il loro iniziale significato: non si riusciva a smontare questa macchina per studiarla. L’evoluzione lentamente progrediva: erano maturi i tempi della Relatività di Albert Einstein e della Fisica Quantistica di Max Planck. “Cambi di paradigmi rivoluzionari” che mostravano, si può dire scientificamente, che, per innovare, bisogna “tradire” i vecchi presupposti.

Allora, le cose cominciarono a mettersi a posto, nello scenario universale.

Ecco che nasce la nuova visione con la famosissima formula E = MC2 che prediceva energia al posto della materia. Ecco che nasce la nuova visione della Fisica Quantistica che prediceva l’impossibilità di conoscere la realtà perché sostituiva la certezza della statistica con la indeterminatezza della probabilità.

Ma non è finita qui: si sono aggiunte la Teoria del Caos che introduce la imprevedibilità stigmatizzata dallo sconcertante “effetto farfalla” e la incredibile Teoria Scientifica QIP (Quantum Information-based Panpsychism), di Giacomo Mauro d’Ariano e di Federico Faggin, che ha tanta strada da fare ma che riunisce scienza e spiritualità, reintroducendo Coscienza e Libero Arbitrio, in un palcoscenico chiamato CIF (Coscienza, Informazione Quantistica, Fisico).

Così riappare l’Uomo, dotato di Coscienza e di Libero Arbitrio, e la Spiritualità associata alla indimostrabile esistenza di Dio.

Intanto, se il Materialismo appare sul viale del tramonto, non sembra che questo succeda al “Riduzionismo” che, ormai incardinato nella mentalità di questa generazione, appare essere il male del Secolo per i suoi effetti nefasti.

Che significa “Riduzionismo”? Riprendiamo l’immagine già citata del mondo come una macchina. Per conoscere qualcosa di complicato, basta spacchettare questo qualcosa. Questo processo di spacchettamento sembra “ridurre e semplificare” la complicazione perché è più facile conoscere e capire una singola parte del tutto. Si può, dopo aver capito tutte le singole parti, riferirsi al tutto l’insieme. Questo è il concetto che non vuole morire anzi, è più che mai vitale. Lo vediamo nella Società Civile. Eppure è un concetto totalmente errato sin nelle fondamenta. Infatti, per esempio, conoscere molto bene la scienza dello pneumatico, anche a livelli qualitativi di eccellenza, non consente di conoscere l’automobile tutta nel suo insieme e nemmeno il suo funzionamento. Anzi, più ci si specializza sullo pneumatico, più ci si convince che quello, lo pneumatico, sia tutto il mondo; più si resiste ad ogni apertura al di fuori del proprio recinto; più ci si chiude in questo recinto perché risponde al bisogno universale di “confort”.

Purtroppo, l’effetto è che nasce la sensazione che, al di fuori del recinto, tutto appare senza importanza, tutto perde di validità. Si rischia che anche il vocabolario si specializzi diventando glossario, noto solo agli addetti. Si rischia di non essere più capaci di interloquire con qualcuno fuori del recinto. Si rischia di diventare esclusivi. Si rischia di convincersi che, al di fuori del recinto, ci sia soltanto un mondo imperfetto, di secondo livello. Si rischia di costituire “classi di simili”. Si rischia di ridursi al tecnicismo da cui nasce l’esaltazione del concetto di Scienza, che non è vera scienza ma alibi. Si rischia il vizio del non ascoltare e del non capire. Si rischia di ricondurre tutto allo pneumatico. Si rischia di diventare presuntuosi “maestrini di vita”.

Ineludibili effetti-corollario del “Riduzionismo”.

Questo non significa certamente che “essere tecnico” non sia utile: nessuno di noi si farebbe operare al cuore da un medico dentista. Il tecnicismo è, più che utile, necessario. Ma, nel contempo, si deve coltivare la visione olistica del mondo perché lo pneumatico non è il mondo; e, perché, dietro l’angolo, c’è sempre acquattata la consapevolezza di essere soli, nonostante le numerosissime conoscenze di cui ci si può accreditare; nonostante la “full immersion” nei social, nonostante il bombardamento di notizie e informazioni che non si sa più accreditare di un significato.

L’uomo ha bisogno della spiritualità: non ne può fare a meno.  Ci si riferisce ad una spiritualità che non significa religiosità.

Ci si riferisce alla Spiritualità che non si può dissociare dall’Olismo, la visione complessiva della macchina da cui discendere verso le singole parti che solo allora assumono il vero significato della loro esistenza. Oggi, le emergenti teorie fisiche, come la già citata QIP, hanno restituito la capacità di coniugare la fisicità con la spiritualità.

Non è altro che una “visione umana” della Scienza. La specializzazione conduce a comportamenti tecnicistici, di focalizzazione deterministica, di consapevole inconsapevolezza dell’ambiente in cui vive il punto focale.

Ecco il Male del Secolo: la perdita, si dovrà dire ignoranza, della visione olistica. Cosa ci si dovrebbe aspettare se non un diffuso analfabetismo funzionale?

Ci sono attività il cui ossigeno è la visione olistica: l’esempio più eclatante, guarda caso, è la politica. Senza Olismo non c’è politica che tenga: ecco perché essa aggrava il disagio dei popoli e non lo risolve.

Antonio Vox

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