La vittoria di Trump

 

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La sinistra europea, in particolare quella italiana, è in preda ad una crisi di nervi. Trump è il 47° Presidente USA contro ogni aspettativa, ogni sondaggio, ogni battage pubblicitario; nonostante la Kamala Harris, dei Democratici, avesse raccolto “a lot of money” per l’appoggio dei grandi capitali e della finanza; nonostante gli “endorsement” scanditi da tutto il mondo dello spettacolo, di Hollywood, degli influencer; nonostante il sostegno dei media.

E nonostante l’avversione a Trump dell’establishment europeo e dei fautori delle guerre. Ma, le critiche, molto spesso ingiuriose e offensive, degli inviperiti sedicenti “di sinistra”, lasciano trapelare un acido veleno per il modo come Trump ha vinto: ritornando da vittorioso benché afflitto da guai giudiziari, prendendosi sia la poltrona di Presidente che il Congresso, umiliando i Democratici, accattivandosi il voto di quell’area popolare da sempre appannaggio dei Liberal.

Trump ha ribaltato il sistema: Repubblicani a sinistra, Democratici a destra.

Una strana resa dei conti, inimmaginabile qualche tempo fa.

E’ successo perché la sinistra occidentale non capisce perché esista; non capisce più i popoli, il loro disagio, le loro insicurezze, le loro ansie.

E ne ha, anche, rubato gli entusiasmi e le aspettative di un futuro migliore.

Un mutamento di paradigma che è storico.

Ne ha preso atto anche Piero Fassino nel suo articolo su “il Riformista” del 12 Novembre 2024: “Come le elezioni in Olanda, Italia, Francia, Austria, Germania, anche il voto americano è figlio dei sentimenti di paura … dallo aumento delle disuguaglianze sociali, da un’inflazione che ha intaccato i redditi, da una competizione globale senza regole, da un’immigrazione vissuta come assedio, dai disastri provocati dal cambiamento climatico, dal venir meno o indebolirsi delle certezze su cui ciascuno ha costruito la vita propria e dei figli”.

Purtroppo, invece di fare una analisi doverosa sugli errori commessi, sentenza su Trump: “dazi e protezionismo economico, blindatura dei confini, deportazione dei migranti irregolari, …. , negazione dei cambiamenti climatici, irrisione dei vaccini, …, ostilità all’Europa, … , spirito isolazionista, … anche a scapito del rispetto della giustizia e del diritto internazionale, … , sovranismo, conservatorismo e deregulation … “.

Peccato che tralasci di ricordare che il disastro elettorale dei DEM è figlio legittimo delle demenziali politiche colonialiste di Clinton, Obama e Biden che hanno minato Debito Pubblico e Società Civile americana.

Fassino sintetizza, così, la analisi politica e il diffuso malessere di una sedicente “sinistra internazionale”, affaristica, che non ne vuol sapere di riconoscere i suoi errori socio politici ma non può fare a meno di criminalizzare il vincitore che le ha tolto la “polpetta dalla bocca”.

Ma perché l’Europa non piace a Trump? La opinione diffusa è perché l’Europa, come Zelensky, è attaccata alla borsellino USA.

Questa, però, dispiace dirlo, non è l’Europa pensata dai padri fondatori, quella cui hanno creduto i popoli del vecchio continente.

Ma, tutti i mali non vengono per nuocere. Ora, c’è una opportunità: o l’Europa si sveglia, soffocando i rigurgiti campanilistici di leader obsoleti e incapaci, ambiziosi e ostinati, per riprendere un percorso abbandonato da quasi mezzo secolo; o è destinata, insieme a tutti noi, a fare da ancella a qualcuno che non ha la sua luccicante storia. E, questa volta, senza possibilità di riscossa.

Purtroppo, riprendere quel percorso non sarà affatto facile sia perché l’Europa non è riuscita, incredibilmente, ad affrancarsi da quell’era della 2° guerra mondiale, vecchia di tanti decenni, che avrebbe dovuto essere ormai definitivamente tumulata; sia perché si è incancrenita, con il diffondersi di una strana sinistra molto diversa dalla Sinistra dei popoli, l’ipocrisia di uno scenario politico definito “bipolare” (dove si confrontano costruttivamente, in una dialettica rispettosa e intelligente, due poli ugualmente significativi) ma che in realtà è  “dicotomico” (dove l’una parte è il negativo arrabbiato dell’altra in un conflitto, interminabile e insolubile, senza esclusione di colpi).

Questa “dicotomia” la si è vista anche in America, quando la Harris ha potuto classificare Trump con il termine definitorio “fascista”, nonostante l’opinione internazionale definisca gli USA il Paese per eccellenza della Democrazia e della Libertà.

Ma quale sarà la politica di Trump sulla quale dibattono, con poco costrutto e su basi stantie, schiere di politici, opinionisti, giornalisti?

Certamente, non si può dimenticare i principali inconfutabili dati: la posizione internazionale degli USA ed lo spiccato timbro popolare dell’inatteso consenso elettorale ai Repubblicani. Ciò, di per sé, è già un superamento della imperante “dicotomia”, citata poco fa, che indebolisce una delle due parti in conflitto: la sinistra. Bisogna, inoltre, tener conto delle caratteristiche del neo Presidente USA che, agli occhi dell’attuale mondo burocratico e conservatore, non può che apparire “imprevedibile”.

Ebbene, Trump è definito “Tycoon”, magante dell’industria, imprenditore di alto livello. E’ un uomo d’affari: promozione della competitività e dell’offerta; lotta agli sprechi sono i suoi mantra.

È su questa attitudine che si dovrebbe valutare il futuro della sua azione che si presume produrrà un profondo ribaltamento dei paradigmi.

Su questi presupposti ci sono da ipotizzare due direttrici.

La prima: ci si dovrebbe attendere un progressivo abbandono dello atteggiamento colonialista e da gendarme del mondo, a vantaggio di una influenza economica e una presenza imprenditoriale basate, ora, sulla competitività del prodotto e del commercio. Ciò consentirà di convogliare le risorse, risparmiate all’estero, verso l’interno degli USA e di ostacolare il paziente, lento e silenzioso procedere della politica economica espansiva cinese di rosicchiamento dei mercati. La seconda: il totale ribaltamento della visione DEM nel definire il principale nemico USA non più la Russia ma la Cina. Ciò avrà come effetto, con alta probabilità, la fine della guerra in Ucraina e, in sequenza, la fine della guerra in Medio Oriente. Infatti, ripresa la Russia, annullate le sanzioni, anche l’Iran si dovrà adattare a più miti consigli, trascinando, insieme, le sue ancelle Hamas, Hezbollah, Huthi. Infatti, “Ucraina e Gaza” sembra che sia la stessa guerra ma su due fronti, per tenere impegnati gli USA a tempo indeterminato. Netanyahu non si dovrebbe opporre perché non potrebbe sostenere a lungo lo sforzo militare cui è sottoposta Israele.

Come conseguenza, gli USA beneficeranno di un attenuamento della simpatia Russia – Cina; di una de escalation delle tensioni BRICS; di un contenimento delle politiche attendiste e acquattate della Cina, da caimano, da esasperato pragmatismo; di un riposizionamento internazionale di timbro “più popolare”; di una frenata del disagio interno e di un conseguente incremento del consenso.

Sembra proprio che MAGA (Make America Great Again) abbia buone possibilità.

E l’Europa? Se ne deve fare una ragione e deve proiettarsi verso una nuova competitiva stagione, interna e internazionale, se non vuole rimanere stritolata, succube e depauperata.

L’occasione non può essere perduta e il primo passo non può che essere la cancellazione di ogni “Dicotomia” che è inservibile in questo nuovo ipotetico scenario e dannosa per la crescita economica e per lo sviluppo sociale del vecchio continente. Va da sé la necessità di rinnovamento della classe dirigente.

In questo nuovo panorama, l’Italia può giocare un ruolo interessante purché traguardi le ineludibili riforme favorendo l’economia, la tecnologia e il potere militare, nella consapevolezza, però, che gli USA hanno bisogno di una Europa non servile.

Ci sono tutti i presupposti, se l’analisi è corretta, che dall’Italia promani la filosofia politica di un “Liberalesimo del XXI secolo” che troverebbe terreno fertile ovunque nell’Occidente.

 

Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile

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