Negli USA la campagna elettorale per le presidenziali di novembre è già entrata nel vivo ed è infuocata.
I DEM si sono accorti che il candidato Biden, dalla figura incerta e claudicante, quasi mummificato, autore di innumerevoli e ridicole gaffe, avrebbe avuto pochissime chances nel confronto con il più agguerrito Trump, e sono corsi ai ripari.
Le consorti degli ex presidenti Clinton e Obama, e dello stesso Presidente Biden, in alleanza con la terribile Nancy Pelosi, si sono subito messe all’opera, mostrando artigli ben affilati. Hanno vinto, nel giro di una decina di giorni, non disdegnando, sembra, minacce e ricatti, le resistenze di “sleeping Joe” che ha obbedito e si è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca pur avendo già macinato diverse convention.
Quale la figura sostitutiva? La scelta è caduta sulla Kamala Harrys, vice presidente USA, fino allora “scialba” ai sensi della opinione pubblica americana. La scelta è di per sé indicativa del fatto che, già con Biden, chi ha in mano il potere non è il Presidente degli Stati Uniti d’America ma un gruppo di pressione che si è consolidato nel ventennio Clinton/Obama.
L’obiettivo non era, dunque, trovare una figura di prestigio da contrapporre a Trump, ma sostituire Biden. Infatti, in poche ore, il nuovo candidato, Kamala Harris, ha raccolto ben $ 46,7 mln e, come corollario, ha incassato l’apprezzamento mediatico dello stesso Biden, delle “consorti”, degli ex Presidenti, di Nancy Pelosi.
E, poi, Kamala è passata di successo in successo, con il suo stereotipato sorriso, fino alla accettazione della candidatura dei DEM.
Tutto questo fra fantasmagorici scenari da fuochi d’artificio, fra gli osanna dello establishment. Basta dare un’occhiata ai finanziatori per capire quali siano i membri di questo establishment.
Secondo le indiscrezioni del Financial Times, della CNBC e della Federal Election Commission ritroviamo l’imprenditore Reid Hoffman, co-fondatore di Linkedin, con un contributo di oltre $ 10 mln; Brad Karp della società di consulenza legale Paul Weiss; l’immancabile George Soros, assieme al figlio Alex; Rogert Altman, fondatore della banca Evercore; Mark Cortale, produttore di Broadway Mark Cortale, Reed Hastings, presidente di Netflix e così via.
A questo importo di $ 46,7 si aggiungono i $ 95 mln raccolti da Biden e che, ora, formano un gruzzoletto denominato “Harris for President”.
• Sui media, tutto Harris; Trump quasi scomparso. Miracolo dei soldi.
Nel gruppo citato, non ritroviamo Elon Musk, amministratore delegato di Tesla e sostenitore di Trump; Mark Zuckerberg di Meta/Facebook che, recentemente ha dichiarato di essere stato obbligato da Biden a censurare le tematiche Covid; Stewart Bainum Jr, presidente della catena alberghiera Choice Hotels che dice di attendere, per decidere, un confronto tra i candidati Presidenti.
Ma chi è Kamala Harris?
60 anni, nasce nel 1964 a Oakland (California), da immigrati. Di colore, si laurea alla università Howard. Procuratrice di San Francisco (California); conquista il seggio al Senato nel 2016 ed è stata, da Barack Obama, selezionata come possibile giudice alla Corte Suprema.
Acerrima nemica di Donald Trump, è diventata famosa per i suoi interrogatori all’ex ministro della Giustizia Jeff Sessions. Agguerrita avversaria di Biden alle primarie DEM delle scorse presidenziali, ne è diventata vicepresidente.
Molto allineata, collezionista degli sneaker Converse, si sveglia alle 6 del mattino e si allena per mezz’ora.
Il suo motto: “Potrai essere la prima, ma assicurati di non essere l’ultima”.
Una carriera nella burocrazia giuridica ed un tentativo fallito in politica.
Ma il principale atout di Kamala è la sua affidabilità nell’essere “allineata”; il che garantisce la continuità con l’attuale presidenza e con i predecessori Clinton/Obama. Se dovesse vincere, addio al programma di rinnovamento radicale di Donald Trump per, almeno, il prossimo quadriennio.
Infatti, il suo programma prevede la riduzione delle agevolazioni e l’aumento delle aliquote fiscali a ricchi e imprese, maggiori regole e burocrazia, transizione ecologica.
E, anche, nuova immigrazione e la “Care Economy” che comprende la salute, l’istruzione, i servizi sociali e tutte quelle altre forme di assistenza retribuita e gratuita come l’assistenza all’infanzia, al congedo familiare retribuito e al finanziamento dell’istruzione. Cose bellissime e soprattutto condivisibili che, però, se non in equilibrio dinamico, gonfiano il Debito Pubblico, degenerano facilmente in abusi e corruzione, addormentano le iniziative private e mortificano l’economia e il libero mercato.
Sulla politica internazionale la Kamala non si è ancora esposta, ma tutto fa pensare che continuerà la attuale politica americana di conservazione del primato colonialista. E ciò potrebbe significare che le tensioni internazionali non accennerebbero a diminuire.
Oggi, in USA si riscontra crescita moderata, inflazione in lenta discesa, tassi d’interesse in calo, salari reali in crescita, utili aziendali in miglioramento: tutti fattori che, nel breve, potrebbero agevolare la Kamala Harris nella sua corsa alla Casa Bianca. Tuttavia, è il dopo la vera sfida della economia; ma a quel punto la Harris sarebbe già Presidente degli USA.
Trump avrà un bel daffare, da un lato, a controbilanciare, da anziano iroso, il programma sociale della Kamala dal giovanile sorriso smagliante; dall’altro, a convincere la opinione pubblica che l’era del “poliziotto del mondo” ha necessità di un deciso aggiustamento verso atteggiamenti più moderati.
Guerre, economia, socialismo… i tre fattori chiave.
Vedremo chi la spunterà.
Antonio Vox