Siamo stati sempre contrari alla “parità di genere” (o quote rosa) in politica; come, peraltro, in tutte le professioni. Anzi, consideriamo questa premessa, o assunto che dir si voglia, una grandissima ipocrisia. Perché? Siamo retrogradi misogini o conservatori maschilisti e fascistoidi? Siamo forse fautori della potestà patriarcale? Assolutamente no.
Queste ricorrenti ipotesi accusatorie esprimono un alto tasso di infantilismo da bar.
La verità è che noi assumiamo come sistema valoriale lo “ius naturale”, che non cita il sesso, e per il quale tutti i generi, anche quelli declinati nell’area LBGTQIA+, hanno la stessa dignità. Per questo, siamo convinti che la società civile non abbia bisogno di un sesso ma di capacità, competenze, attitudini, merito.
Intanto si può osservare che per ogni donna mortificata c’è certamente un uomo mortificato: qui è certa la parità.
Ci sembra di essere in una posizione equilibrata quando leggiamo Timothy Leary, portabandiera della rivoluzione psichedelica in America e stimato professore di psicologia a Harvard, che scriveva che “le donne che cercano la parità con gli uomini mancano di ambizione”.
Un articolo, apparso recentemente su www.forbes.com, espone la 19-esima classifica mondiale delle donne più potenti che, certamente, non sono lì per “parità di genere” ma per le loro capacità ed attitudini.
La classifica, informa Forbes, è stata stilata usando un “diamante” di 4 parametri: denaro, media, impatto e sfere di influenza.
Trascriviamo, per brevità di articolo, solo le prime 10 posizioni rimandando il lettore al sito di Forbes per la lista completa nella quale, oltre ai noti ruoli politici, sono elencate ben 39 amministratori delegati, 10 capi di Stato e 11 miliardarie:
Ursula von der Leyen; Christine Lagarde; Kamala Harris; Mary Barra; Abigail Johnson; Melinda French Gates; Giorgia Meloni; Karen Lynch; Julie Sweet; Jane Fraser.
All’ottava posizione, ritroviamo, sorprendentemente il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. Na ha fatta di strada in due anni!
Ci aspettavamo che tutti i nomi fossero occidentali. E, allora, rimaniamo in Occidente.
Cosa succede in Europa, a livello politico? Ecco:
Ursula Von Der Leyen (Presidente della Commissione Europea), Roberta Metsola (Presidente del Parlamento Europeo), Christine Lagarde (Presidente della BCE), Giorgia Meloni (Premier Italia), Katrín Jakobsdóttir (Premier Islanda), Ingrida imonyte (Premier Lituania), Kaja Kallas (Premier Estonia), Mette Frederiksen (Premier Danimarca), Élisabeth Borne (ex Premier Francia), Zuzana Caputová (Presidente Slovacchia), Katerina Sakellaropoulou (Presidente Grecia), Nataa Pirc Musar (Presidente Slovenia), Salomé Zourabichvili (Presidente Georgia)… per rimanere al livello di vertice.
In particolare, in Italia, la maggioranza guidata dalla Giorgia Meloni trova il suo contraltare in Elly Schlein che guida la opposizione.
L’Europa, e l’Italia, per quello che ci interessa, sono decisamente e saldamente, in mano alle donne.
Che fine ha fatto il genere maschile così prepotente e patriarcale? Atterrato e in seconda battuta! Ma anche lì corre pericolo d’esilio.
Per facezia, scappa la battuta: chissà se ce la farà a riprendersi.
Chiuso il capitolo europeo, a elezioni già celebrate, apriamo quello americano, dove infuria la lotta politica per la Presidenza degli Stati Uniti.
I media, osserviamo, tolto di mezzo “sleeping Biden”, citano solo le manovre di Kamala Harris, Nancy Pelosi, Jill Biden, Michelle Obama, Hillary Clinton.
In effetti, la rimozione della candidatura di Joe Biden era già ampiamente programmata. Le sue disavventure d’età hanno solo agevolato, costituendo un movente credibile, il grande annuncio che tutti hanno creduto ridicolmente “straordinario”. Infatti, Joe era già sotto stretta tutela di Bill Clinton e, soprattutto, da Barack Obama che lo affiancavano, anche fisicamente, da lunga pezza.
I loro mandanti? Le rispettive mogli, in combutta con Jill Biden e Nancy Pelosi, che, intanto, gestivano non solo il Partito Dem ma anche la rimozione di Biden.
Vale sempre il motto popolare: “dietro un grande uomo, c’è, di certo, una grande donna”.
Ed eccole che emergono prepotenti una volta che i consorti hanno concluso il loro mandato.
Quasi quasi proviamo simpatia per Trump lasciato solo da Biden in questa competizione tutta di colore rosa (non di quote rosa).
Qualche dubbio che le ex first ladies non siano degne dell’aggettivo “virile” che una volta indicava un genere?
Una volta disarcionato Joe Biden, ecco apparire senza colpo ferire, la evanescente e inconcludente Kamala Harris, all’uopo “defilata”, che, nel giro di poche ore ha raccolto il numero di delegati necessario alla sua candidatura, ha sbloccato i finanziamenti congelati e, addirittura, ha fatto un pieno di oltre $ 200 mln. Senza colpo ferire, perché i voti non sono mai stati di Biden ma dei Dem e, in particolare, di chi li gestisce.
Quindi, un successo straordinario tanto che solo qualche sprovveduto può credere che sia stato improvvisato. Anche il furbo Trump è stato colto di sorpresa visto che, allibito, ha gridato al colpo di Stato.
Poveretti entrambi: Biden per primo e, a ruota Trump, che non avevano capito che lottavano contro una squadra di donne che hanno agito con determinazione, cinismo, prepotenza, ricatto (tipico quello di Pelosi a Biden).
Una volta si diceva che gli Stati più forti erano quelli dove la società era di timbro matriarcale.
Ora, nasce un dubbio che, però, lascia il tempo che trova. Mentre Trump sembra avere una idea politica e Biden sembra facesse un po’ di politica, questa squadra di donne, a capo del salotto di una élite facoltosa e orientata al business, fa azione di puro potere. E’ facile immaginare una politica estera USA ancora più aggressiva.
Vedremo cosa succederà a Novembre ma la strada dei Repubblicani ha cambiato, improvvisamente, la sua pendenza: ora è in salita.
Ma non crediate che la compattezza di squadra sia stata facile da ottenere.
Una lotta intestina si è consumata dietro le quinte. Infatti, mentre, dopo l’annuncio del ritiro di Biden, la coppia Clinton ha dato subito il suo appoggio alla proposta di candidatura di Kamal Harrys, gli Obama, che preferivano la candidatura di Michelle, hanno atteso gli eventi.
E proprio gli eventi hanno suggerito agli Obama di cedere le armi. Infatti, il loro appoggio a Kamala, a dimostrazione della loro lealtà, ha dovuto arricchirsi di una telefonata, registrata in video dove appaiono gli Obama ed Harris, che è stata diffusa su tutti i media.
Il video si conclude con “Harris for president”.
Intanto, sul fronte europeo, chiuse le elezioni, fervono le attività politiche del “mondo delle donne”. Quello che sembrava lo “schiaffo alla Meloni” dalla Europa, in testa Francia e Germania, così propagandato dalla opposizione, si sta rivelando un atout favorevole per i Presidente del Consiglio italiano.
Da un lato, la Ursula von der Leyen è stata eletta Presidente della Commissione europea rispettando i fatiscenti vincoli dell’asse franco tedesco, dall’altro la Meloni va in Cina per incontrare Xi Jinping.
Che vada di propria autonoma iniziative senza aver concordato preventivamente con EU e USA la posizione, è pura fantasia da irriducibile antipatia e invidia.
Come abbiamo già scritto, l’Italia può fare, sullo scacchiere internazionale, quello che nessun paese occidentale può, né l’Europa, né gli Usa. E, sembra proprio, che l’Italia venga “usata” in questo ruolo.
Quale è il dossier del vertice? Sotto il cappello dei rapporti commerciali e dei “chiarimenti” sul malinteso della “Via della Seta”, nell’agenda compaiono le guerre (Ucraina e Gaza), l’Africa e il piano Mattei, il Medio Oriente, i dazi.
L’incontro è giustificato anche dal ruolo della Meloni come Presidente pro tempore del G7.
L’accoglienza cinese è spia significativa del grande gradimento che riscuote l’Italia. Infatti il Global Times, che è il tabloid in lingua inglese del Partito comunista cinese ribadisce: “si dimostra ancora una volta che il ritiro dell’Italia dalla Nuova via della seta non è stato dovuto alla riluttanza a cooperare con la Cina o alle convinzioni politiche della stessa Meloni, ma piuttosto all’enorme pressione esercitata dagli Stati Uniti e dalle altre principali potenze occidentali… Alla luce della disputa commerciale tra Cina e Ue in merito ai dazi sui veicoli elettrici, qualsiasi passo compiuto verso una comunicazione pragmatica è encomiabile e prezioso”.
Un colpo al cerchio, uno alla botte. Da un lato la Cina vuole smorzare i conflitti per poter crescere ancora, dall’altro l’Occidente non può continuare all’infinito con una politica internazionale di scontro perpetuo.
Additare l’Italia come “pragmatica” è di tutto rilievo e innovativo.
Ecco le donne al potere! Che non hanno nulla a che fare con il “femminismo” che, in verità, appare sempre più sterile nel ridursi a questione barbina di genere e, come tale, perde credibilità e assume lo stereotipo di aggressiva rivendicazione di un posto di visibilità, a prescindere dai contenuti.
Antonio Vox