“Più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca … e quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?”.
Queste sono le frasi pronunciate dal Papa in una intervista che sarà trasmessa il 20 marzo dalla televisione svizzera ma registrata a Casa Santa Marta, in Vaticano, il 2 febbraio 2024. Addirittura, un mese e mezzo prima della messa in onda.
Una stranezza, come la decisione di anticipare al 9 marzo, sul sito Vatican News, i contenuti della intervista. Decisione presa da Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa Vaticana.
Che dice ancora il Papa? Dice, riferendosi anche alla guerra di Gaza,“gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra”; e ancora: “Guardiamo la storia, le guerre che abbiamo vissuto, tutte finiscono con l’accordo”.
Ma a chi è rivolto l’invito, perentorio, sorprendente ed esplosivo? Addirittura a Kiev e, anche, è detto, con una lettera, a Israele.
L’impressione, tuttavia, è che il messaggio sia rivolto a nuora perché suocera intenda; dove la nuora rappresenta i belligeranti reali, la suocera rappresenta i belligeranti virtuali.
Allora? Quale sembra debba essere la conclusione? Che è inutile attendere altre morti e distruzioni; è bene, quindi, negoziare subito: “il negoziato non è mai una resa”.
Come è ovvio, partono gli esercizi di dietrologia, nascono tanti dubbi e diverse interpretazioni su questo messaggio del Papa.
Il dubbio che emerge sugli altri è: come mai si lascia passare tanto tempo fra la registrazione del 2 febbraio e la pubblicazione del 20 Marzo?
Forse si volevano attendere ulteriori eventi? Quali?
A fronte della aggressività di Francia, di UK e di Polonia, che non hanno escluso un intervento militare diretto sul suolo ucraino; a fronte della disponibilità dell’Occidente, negata a parole, di fornire missili a lunga gittata a Zelensky; a fronte delle ripetute dichiarazioni dei leader europei e occidentali che non avrebbero permesso mai la sconfitta ucraina; a fronte di tutto ciò, si sono potute raccogliere le dure minacce russe, forti della incognita Cina, e la precipitosa conseguente dichiarazione della Nato che ha escluso l’invio di truppe sullo scenario di guerra.
Ciò mostra un continuo crescere della tensione che produce, però, uno stato irrisolvibile di stallo.
D’altra parte, Zelensky ha sempre rifiutato gli appelli alla via del dialogo riducendo ogni intervento pacifista del Vaticano a questioni di carattere religioso ed umanitario esprimendo la sua determinata indisponibilità a qualunque trattativa di armistizio.
Anche la Russia è stata presa di sorpresa dalle esternazioni del Papa, tanto che Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, le ha voluto interpretare come un invito all’Occidente, e non ai belligeranti in causa.
E’ fuori dubbio che la guerra in Ucraina, come quella in Gaza, viene sempre più vista, dalle opinioni pubbliche, nonostante le coperture mediatiche e le manifestazioni di piazza, come un conflitto da “resa dei conti” fra due visioni del mondo che lottano, nel senso politico, economico, militare, per il predominio mondiale.
Per capirci, queste due visioni le chiamiamo Occidente ed Oriente.
La prima a difesa delle proprie conquiste; la seconda che, alzando la testa, contesta quelle conquiste e tende ad un annullamento e ad una sostituzione.
Ma è anche fuori dubbio che le genti, quelle direttamente coinvolte e esposte a inenarrabili tragedie, ma anche quelle “spettatrici” che subiscono gli effetti perversi di conflitti che non sono solo militari ma anche di sanzioni economiche, sono preda, ormai, della insofferenza e della esasperazione.
Se la questione è questa, non solo le due guerre non avranno fine, ma è anche da escludere che non ci si può permettere che ci sia un vincitore ed un vinto.
In questo scenario da preludio della terza guerra mondiale, chi rischia di più è l’Occidente perché è quello che ha più da perdere.
Poco importa chi abbia cominciato, per primo, la guerra e quali possano essere state le motivazioni. Poco importa da che parte siano i cattivi.
L’importante è invece che il cominciare è stato facile, il concludere è molto più difficile perché, nonostante tutto, armamenti, sostegni economici, tribunali etico/morali, sanzioni, non fanno vedere alcuna soluzione fattibile.
Il Papa, dal canto suo, sembra aver migrato da una posizione prettamente religiosa ed umanitaria alla posizione del “fare politica”.
Egli non poteva rivolgersi ai belligeranti virtuali, ipocritamente nascosti dietro il paravento degli aiuti umanitari; si è rivolto invece ai belligeranti reali. In particolare ai paladini d’Occidente, Zelensky e Netanyahu, che sono irriducibili e, da un certo punto di vista, mettono in imbarazzo l’Occidente tutto impedendo l’apertura di un tavolo d’armistizio.
D’armistizio e non di pace perché la pace non è che un compromesso d’armistizio fra due belligeranti.
Infatti, se questi signori decidessero di deporre le armi, ogni questione potrebbe risolversi senza trascinare l’Occidente in una sconfitta morale benché non militare; visto che l’Oriente si è mostrato incredibilmente resiliente.
Se le esternazioni del Papa e il suo deciso incedere “politico” sono farina del suo sacco, dovremmo dire che egli si è comportato da statista di caratura mondiale, nel cercare di evitare l’allargamento dei conflitti verso una strada senza ritorno e, addirittura, di promuovere la loro cessazione.
Ma il dubbio che ci sia un sotterraneo accordo con Biden, dopo la conferma della competizione Biden/Trump per la Presidenza USA, non è dissolto del tutto soprattutto in relazione al ritardo “non giornalistico” della pubblicazione dell’intervista di Papa Francesco che ha scelto di servirsi della televisione di un Paese neutrale come la Svizzera.
Antonio Vox