L’intervista, sul tema della guerra di Gaza, a Barbara Schiavulli, giornalista, scrittrice, corrispondente di guerra e direttrice di Radio Bullet, del DiariodelWeb.it del 12 febbraio 2024, se letta con razionalità asettica e priva di pregiudizi e partigianeria, apre il sipario su di una cruda realtà che, nonostante essa trovi riscontro in tutta la Storia del genere umano, si continua a mistificare.
Quale cruda realtà? Che il percorso storico del genere umano è segnato da una lunga scia di sangue.
Ma leggiamo cosa ha detto la Barbara Schiavulli: “Netanyahu non vuole la pace, proprio come Hamas”.
Più che una opinione, sembra una sentenza senza appello.
Sul governo d’Israele: “credo che l’abbiano detto in tutte le lingue che la pace non la vogliono. Il punto, oggi, è capire quanto contano per loro, da un punto di vista umano, gli ostaggi e i civili che sono a Gaza”.
Pensate! Barbara Schiavulli si chiede quanto importante sia il destino di ostaggi e civili: proprio quelli che dovrebbero essere garantiti, come priorità assoluta.
Su Hamas: “Neanche a Hamas farebbe comodo una pace, perché perderebbero potere… non esisterebbero proprio, se ci fosse uno Stato palestinese libero dall’occupazione”.
Lei era lì, in Palestina, nel 2006, quando Hamas vinse le elezioni.
E ha aggiunto: “Ma il problema non sono solo loro, bensì tutti gli interessi internazionali che gravitano intorno”.
E sulla popolazione: ”Dopo l’attacco del 7 ottobre e la risposta di Israele, credo che si sia fatto un giro di boa e la convivenza non sia più accettabile per nessuno, o quasi”.
La Schiavulli non salva nessuno: non il governo d’Israele, non il governo della Palestina, non i due popoli, non gli Stati che gravitano attorno a quell’area martoriata, non le organizzazioni internazionali come l’ONU.
Allora, noi ci facciamo la domanda sottintesa e mai espressa: “Ma questa guerra di chi è“? Questa guerra la fanno i popoli o il potere?”.
E, subito dopo, ampliamo il tema:“le guerre, tutte le guerre, le fanno i popoli o il potere?”.
Rimanendo sul caso specifico, quello di Gaza, ma volgendo lo sguardo su tutto il mondo e su tutta la storia, ci accorgiamo che il disgiungere potere e popolo appare un esercizio molto difficile.
Infatti, è difficile nel caso di Israele perché essa è una democrazia rappresentativa e, in una democrazia, la guerra la decide democraticamente il Parlamento, a maggioranza; ma anche nel caso di Hamas è difficile perché il popolo sapeva, quando, nel 2006, ha affidato il potere ad Hamas che il suo statuto prevedeva esplicitamente la morte di Israele.
A ben considerare, in generale, nelle tribù, come anche negli Stati non democratici e dove esiste un capo indiscusso, non si riesce a fare una guerra senza il popolo, che sia plagiato o meno.
Dovremmo concludere che le guerre le fanno i poteri con l’avallo del popolo.
Ma, allora, che significato avrebbe tutto il dibattito sulle vittime civili di una guerra se è lo stesso popolo che l’ha voluta? Siamo alla ipocrisia totale.
Si potrebbe osservare che bisogna distinguere fra popolo invasore e popolo invaso; fra popolo che attacca e popolo che si difende.
Anche questa, però è una ipocrisia: non c’è popolo invaso che non sia stato, a sua volta, invasore. E viceversa.
A maggior ragione, non si può togliere nulla al fatto che, prima di arrivare alla guerra, sia necessario espletare ogni tentativo per eliminare le tensioni che conducono al conflitto. Infatti, se non c’è alcun dubbio che una guerra non nasce all’improvviso, c’è, invero, la certezza che la guerra è distruzione e morte; è macerie e devastazione.
Per quanto intelligente, una bomba non guarda in faccia a nessuno: non distingue sesso ed età; e neppure buoni e cattivi.
Ad esempio, nella seconda guerra mondiale, in Italia, è il popolo che ha avallato la entrata in guerra; e in Germania, analogamente, il popolo ha avallato la guerra.
Eppure la guerra distrugge, in breve tempo, tutto quello che è stato costruito dal popolo in decenni di lavoro.
Sempre ci sono state, ci sono e ci saranno vittime civili in una guerra, e non è possibile che non ci siano.
Questa è una verità lapalissiana.
La realtà è che tutta la Storia umana è una scia di sangue, a cominciare da Abele e Caino.
Il potere c’entra, e come; ma il popolo anche: non è poi così innocente.
La narrazione che distingue i buoni e i cattivi è, anch’essa, tutta una bufala: i buoni si scambiano il ruolo con i cattivi, a seconda della fonte della narrazione.
Da qui nasce l’inevitabile “doppiopesismo”.
Il “doppiopesismo” è anche la tesi del vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali, Michele Nones.
Questo doppiopesismo ha origine in una sorta di pacifismo diffuso e ipocrisia di varia natura a seconda della matrice.
Il tema delle vittime civili e il “doppiopesismo” assume la veste di una sorta di alibi per gli indegni comportamenti guerreschi degli altri e come strumento di accusa nei confronti dell’avversario.
Nato con l’uomo, il doppiopesismo si è evoluto, in maniera prepotente, con l’esplosione degli strumenti di propaganda, nella seconda guerra mondiale.
Ad esempio, è servito per giustificare azioni discutibili quali il bombardamento a tappeto di Londra o di Dresda, la distruzione sistematica di Varsavia, la cancellazione di Hiroshima e Nagasaki. Lì, chi distruggeva erano forze armate regolari; chi subiva, i civili. Allora, tante furono le vittime civili non per inevitabili “danni collaterali”, ma per precise scelte politiche e militari.
Quale la teoria strategica a supporto di tali azioni?
“Fiaccare il fronte interno”, per accelerare la sconfitta del nemico e finire prima la guerra: e così da evitare tante vittime civili future.
Un girotondo che sembra una presa in giro.
“Fiaccare il fronte interno” significa colpire deliberatamente i civili.
Questa strategia, a dir poco ridicola, è accolta senza batter ciglio dalla opinione pubblica per la quale la vita di gente che non le appartiene vale molto poco. Come anche valgono molto poco le devastazioni e le macerie degli altri.
Un po’ di buonismo di maniera non guasta; basta che lo sfacelo sia degli altri.
In questo disastroso panorama, forse, emerge una eccezione: la guerra in Vietnam. La causa della sconfitta americana viene unanimemente riconosciuta essere stata la crescente opposizione della opinione pubblica americana per le devastazioni e macerie subite dalla popolazione vietnamita; ma resta il forte dubbio che invece siano state le ingenti perdite umane americane.
Ma la popolazione civile in un caso è innocente: nelle guerre non convenzionali.
Quelle guerre ibride, asimmetriche, terroristiche combattute da fanatici che formalmente non rappresentano nessuno se non il proprio discutibile credo per creare terrore e morte fra la popolazione civile.
Che queste forze siano strumentalizzate o meno, non toglie nulla al fatto che la storia umana sia segnata da scie di sangue.
E’ ben strana questa multiforme società umana.
Con buona pace di coloro che si commuovono per le tragiche immagini delle vittime civili a condizione che non siano cittadini di paesi amici ed alleati.
Antonio Vox