Gli anni ’70 sono stati per l’Italia un periodo entusiasmante dal punto di vista economico/industriale, il consolidamento della consapevolezza di essere una nazione in grado di raggiungere i vertici mondiali con la genialità di un popolo che rinasceva sempre più dalle tragedie belliche.
Furono anche gli anni di concetti rinnovati nella rincorsa ai Paesi avanzati tecnologicamente, a quei tempi sopratutto gli USA.
Proprio dagli USA arrivarono i primi concetti innovatori della new age industriale; il “team” fu uno di quelli che mal si adattava all’individualismo italiano ma che riuscì a dare una scarsa giustificazione alle catene di montaggio ma che non c’entravano niente con il significato espresso dagli americani. Dopo molti mal di pancia e rivendicazioni sindacali, l’alienazione del lavoratori fu digerita a suon di aumenti di stipendio: era solo una questione di prezzo. Per ribadire, specialmente a livello dirigenziale, il concetto che la squadra “fa la forza”, le aziende adottarono corsi di “team building” ovvero di simulazioni che tendevano ad aggregare la filiera lavorativa
Nel anni ’90 fummo ammaliati dal “managing” e dal “problem solving”, significato, quest’ultimo, che diventò famoso per gli addetti ai lavori a cominciare dalla pubblicazione nel 1971 del lavoro di Jean Piaget e Bärbel Inhelder che partiva dall’approccio scientifico dell’apprendimento integrato ma anche dalla capacità di “visualizzare” il problema facilitandone la soluzione. Ci fu una esplosione di dirigenti, vice dirigenti, managing director che erano o avevano i risolutori di problemi.
Il Problem Solver diventò il lite motive per dire che tutto si poteva fare: hai un problema? Dormi tranquillo, qualcuno lo risolverà.
La generazione del “fil di ferro”, ovvero dell’italiano con la quinta elementare che ti brevettava invenzioni geniali, diventò quella della delega… qualcuno lo risolverà.
Poi siamo arrivati al Terzo Millennio; eravamo negli anni della fantascienza, il “2001 di Stanley Kubrick” era la nostra epoca e tutto sembrava possibile. Nonostante che alle porte di casa nostra ci fossero stragi e guerre che pensavamo impossibili da rivedere o addirittura da partecipare, la nostra società si trasformava radicalmente tanto da farci accettare sempre più i “diktat” in nome di una Europa unita e “solidale” alla quale qualcuno ci aveva detto di aderire.
La delega si trasformò sempre più nella passiva accettazione di regole e leggi “sovranazionali” decise da persone elette da nessuno che produssero oscenità come il patto di Mastrict e di stabilità.
Queste leggi e poi le nostre nazionali diventarono sempre più rigide e incomprensibili fino a una produzione inesauribile di aborti in evidente contrasto con la nostra Costituzione. I DPCM sono stati l’ultimo emblematico esempio ma ce ne uno molto più subdolo, quasi evanescente, viscido: il protocollo.
Sotto questo termine, per molti incomprensibile perché spesso esula dal razionale, si sono commessi e si commettono i più efferati omicidi, a cominciare dai servizi pubblici a finire con quelli sanitari. Le procedure, nate per semplificare applicando metodi e norme consolidate si susseguono diventano a volte antitetiche provocando caos e immobilismo.
In nome del protocollo si mortificano capacità individuali, diplomi e lauree anteponendo l’ottusa obbedienza e leggine prodotte da burocrati spesso distaccati dalla quotidianità e incapaci di comprendere il mondo del lavoro.
Abbiamo avuto esempi terrificanti durante la pandemia dove per “protocollo” si poteva prendere il caffè in piedi ma non seduto se non vaccinato, oppure si doveva prendere la Tachipirina e “vigilare” anche quando la stessa sanità aveva capito che tutto ciò era letale, o arrivare all’ultimo eccesso di un dipendente comunale che invia la richiesta di rimborso alla famiglia di 183 € per la pulizia della strada dal sangue del figlio ucciso da un ubriaco.
Ma il dipendente pubblico è stato complice di una perseverante e continua distruzione del “problem solving” anche nei meandri dell’amministrazione fiscale, dei servizi logistici e della comunicazione; non parliamo poi dell’edilizia. Gli uffici tecnici e Commissioni edilizie ormai sono il terrore di ingegneri, architetti, geologi e geometri, ma nessuno protesta, è il protocollo che lo impone!
Ciò che era nato per organizzare e semplificare il lavoro è diventata la GABBIA dell’economia e della società in generale. L’assassinio della meritocrazia voluta da una certa politica demagocica e clientelare è diventata il modo sistematico per nascondere l’incapacità
Non importa che l’insulto alla intelligenza sia trasversale e che colpisca sia le vittime ma anche i carnefici portando la nostra società al collasso e al delirio:
Ma allora perché si continua così? Io una teoria ce l’avrei: perché fa comodo a tutti.
Il protocollo è lo scudo ideale per non avere responsabilità, il famoso muro di gomma.
Dal muro di gomma si passa alla frustrazione dell’utente finale che alla fine si arrende. E’ un processo voluto? E’ la conseguenza di un piano diabolico complottista? No, e la conseguenza dell’indole umana che se lasciata scegliere se poter decidere o subire, sceglie la seconda.
Perché? Perché le istituzioni si sono saturate di persone che hanno preferito il posto fisso anziché il rischio di confrontarsi con il proprio sapere e le proprie capacità e così è stata anche per la politica che non ha più avuto statisti ma politicanti, incapaci di avere una visione del Paese e quindi di una progettualità.
Questa è anche la conseguenza di un sistema formativo scolastico che predispone le persone all’accettazione passiva e quindi dei protocolli che sono ormai dei dogmi o postulati della nostra società. L’analfabetismo funzionale, che affligge ormai un terzo della popolazione italiana, è figlia di una formazione nozionistica e non consapevole, critica, che mira addirittura, secondo quanto dice la nuova proposta di legge per la riforma scolastica, a creare servi dell’intelligenza artificiale.
Ecco che il cerchio si chiude; Gl’insicuri cercheranno sempre un posto fisso nel pubblico perché particolarmente tutelato, sottopagato si ma con lo stipendio certo. Qualsiasi governo terrà caro questa riserva che lo voterà sempre finché manterrà il patto non scritto di questo voto di scambio, perché questo è.
Emblematica è la Repubblica di Cuba con un 50% di dipendenti pubblici che vota e voterà sempre lo stesso governo all’infinito. L’Italia ha il 32% di lavoratori nel pubblico: siamo sulla buona strada.
Il mondo delle procedure sta sostituendo il genio e la critica, l’obbedienza vince sul merito e tutto avviene davanti ai nostri occhi con il silenzio assenso a cominciare dai genitori che al massimo protestano sulla mole dei compiti a casa anziché informarsi su cosa e come studiano i loro figli.
Mio padre mi disse cinquant’anni fa in un consiglio di classe: Ognuno faccia il suo mestiere, i professori insegnino e gli studenti studino.
Io aggiunsi: e i genitori facciano i genitori, ma non fui capito.
Il tempo della delega senza controllo deve finire altrimenti anche la democrazia cesserà del tutto.
Massimo Gardelli