Nouriel Roubini, in una sua intervista a Bloomberg Televisione ha detto: “non possiamo raggiungere la stabilità dei prezzi, mantenere la crescita economica e avere stabilità finanziaria allo stesso tempo. Quindi, alla fine, avremo un crollo economico e finanziario”.
Certo, si riferiva all’Occidente ma, ricordiamo, la globalizzazione ha reso interconnesse tutte le economie.
Con tutti i problemi che abbiamo, ci voleva pure questo infausto oracolo.
Il pensiero, da sprovveduti della economia e della finanza, corre, subito, al sistema bancario, nel quale sono depositati tutti i nostri risparmi, e alla sua temutissima fragilità.
Dovremmo stare tranquilli visto che tutti – FED, BCE, Istituzioni, Governi, economisti ed opinionisti – affermano che il sistema bancario è sano e solido.
Ma Roubini insiste nella sua tesi e ricorda i fattori di crisi: la Pandemia; la Guerra in Ucraina; la crisi bancaria del cluster Hi Tech e delle criptovalute come la Silicon Valley Bank, la Silvergate, la Signature; i terremoti della Swiss Bank e della Deutsche Bank; la enormità del Debito mondiale (sia pubblico che privato) rispetto al PIL mondiale.
Su di una cosa, però, possiamo essere d’accordo con lui: siamo nel pieno di incontrollabili turbolenze finanziarie e in un totale sconquasso della economia reale che è la fonte primaria dei gettiti fiscali.
Ma se quanto sopra è vero, sotto accusa non possono che essere l’esplosione dei costi e delle spese pubbliche, le politiche monetarie delle Banche Centrali, il fisco sempre più aggressivo, le politiche creditizie del sistema bancario.
Ma chi è Nouriel Roubini? Un economista, già consulente per gli affari internazionali nel Consiglio Economico della Casa Bianca (Clinton), con esperienza nel Fondo Monetario Internazionale. È stato lui, non preso sul serio e, per giunta, ridicolizzato dal “mainstream”, a prevedere la recessione USA del 2008 che ha avuto gravissime ripercussioni in tutto il mondo Occidentale, dove l’Italia dimora con il suo debito stratosferico.
Vorremmo non credere alla previsione di Nouriel Roubini; però, lui ci ha messo la pulce nell’orecchio con la sua tesi del crollo USA e del disastro economico finanziario globale.
Se poi, ai fattori di crisi si aggiungono le minacce che ci tormentano, fra le quali si possono citare, non esaustivamente, il cambiamento climatico e l’emergente conflitto Cina/USA, già da tempo acceso sotto la cenere, allora si è colti dallo sconforto di fronte ad uno scenario che palesa un futuro più che tragico.
E pensare che la gente vuole stabilità, certezza, benessere da non confondersi con agiatezza.
Le intrecciate dichiarazioni di Biden, da un lato, e di Xi Jinping, dall’altro, non sono semplici scaramucce, ma rivelano un malcelato fastidio di reciproca insopportazione.
Biden minaccia la Cina su Taiwan e su eventuali aiuti alla Russia; Xi consiglia gli USA di mettere il “piede sul freno”.
In questo panorama, l’Ucraina, con la sua guerra, rappresenta il luogo simbolo del braccio di ferro; mentre, in verità, il territorio ucraino, in sé, perde sempre più l’immagine del motivo reale del conflitto.
Da un lato, l’Occidente rappresentato dagli USA; dall’altro un movimento globale che comprende Cina, Russia, India, Iran, Paesi africani, Paesi sudamericani, Paesi del Centro America.
È evidente che sono gli USA sotto attacco diretto e concentrico: in particolare la loro politica internazionale e il dollaro.
Sul primo punto, quello della politica internazionale, noi crediamo che la boa di svolta per gli Stati Uniti sia stata l’invasione dell’Iraq e la destituzione di Saddam Hussein. Fu un errore gravissimo della politica internazionale USA perché l’invasione, pur benedetta dall’ONU, si basava sulla “famosa menzogna del possesso di armi di distruzione di massa”.
Da allora, inesorabilmente, l’immagine USA si è progressivamente deteriorata da “gigante buono a difesa dei popoli” e “paciere dei conflitti” a “prepotente e cinico imperialista e sfruttatore”, aprendo una inesorabile rivisitazione storica che oggi, nonostante gli sforzi americani di una ostinata propaganda, appare impossibile arrestare.
Il messaggio globale, nonostante i consensi internazionali, sembra essere “se non con la Russia, di certo contro gli Stati Uniti che pretendono di esportare il loro modello socioeconomico fino a imporre sanzioni commerciali, economiche finanziarie con la potenza del loro dollaro”.
Gli Stati Uniti sono i nemici ideologici, culturali, economici, finanziari, militari: nemici globali!
Il mondo, sempre più globalizzato, rifiuta di essere soggetto ad un tribunale della inquisizione che offende, prima di ogni legalità, le identità.
Eppure, si dovrebbe sapere che la democrazia, come ogni forma di civiltà, non può essere esportata tout court, ma bisogna promuovere la sua adozione nel lento divenire della società.
In ogni caso, la narrazione di denigrazione degli USA, rappresentante dell’Occidente, è pericolosissima; sia perché ci pone nella classe dei colonizzatori e sfruttatori, sia perché suscita un odio istintivo nei nostri confronti che impedisce ogni futura politica del compromesso: se perde, l’Occidente non avrà diritto di parola.
Basta dare uno sguardo alla figura per cogliere l’idea del conflitto globale che coinvolge Occidente ed Oriente: dove l’Oriente non è un punto cardinale ma, convenzionalmente, individua un’area del mondo, distribuita e molto popolata, con vastità territoriali, economiche, finanziarie, culturali, militari.
Che si può dire dal punto di vista del marketing sociale? Mentre l’Occidente indica gli individui colpevoli, criminalizzandoli secondo la sua legge, ma comminando ammende ai popoli; l’Oriente si pone a difesa della identità dei popoli e della libertà.
Sembra proprio che i ruoli si siano invertiti: il cattivo è l’Occidente con gli USA in prima linea, il buono è l’Oriente, con Cina/Russia in prima linea, che si difende dai soprusi del primo.
Ci sono tutte le premesse perché questa narrazione diventi dominante anche da noi, europei ed occidentali, perché la voragine della nostra Burocrazia, irta di leggi norme e procedure che scandiscono perfino il secondo della nostra vita, corredata dalla viziosa “caccia al reo”, tende ad inghiottire il senso della libertà e il senso d’appartenenza, dando così ragione alla narrazione.
L’immagine del colonizzato che si ribella trova grandissimo consenso.
È necessario, quindi, rivedere dalle fondamenta le impostazioni occidentali di politica interna ed internazionale, nel senso di colorirle di un timbro più opportunistico e accattivante. In caso contrario, i contrasti fra le due parti del mondo, una volta latenti e oggi palesi, diventeranno sempre più aspri.
Non ci sarà guerra nucleare perché non conviene a nessuno, ma ogni conflitto, che sia ideologico politico economico, lascia sempre vittime a terra. Alla fine, tutti perdono ma il danno maggiore lo subisce chi ha da più perdere: il dollaro e l’economia occidentale.
Facciamo in modo che Nouriel Roubini, questa volta, non azzecchi il suo pronostico.
Antonio Vox