Il Rapporto Annuale dell’Istat, sullo stato socioeconomico del Paese, riferendosi all’anno 2020, appare drammatico nei suoi dati e offre uno scenario apocalittico. Il focus, come detto, è l’anno 2020.
Che ha di particolare quest’anno? È il primo anno dell’era pandemica.
Cosa dice il rapporto?
Dal 2005 al 2021:
il numero di persone in povertà assoluta è triplicato, con un salto da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale);
il numero di famiglie in povertà assoluta è raddoppiato, con un salto da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%).
Ma non è tutto: il dramma si ispessisce quando si legge che il numero di minori in povertà assoluta è più che triplicato, dal 3,8% al 14,2%; e una “logica negativa” – quella che brucia gli entusiasmi, le speranze e l’anelito alla conquista di un benessere futuro – si è impadronita della nostra generazione di domani, quella dei giovani tra i 18 e i 34 anni.
Il salto negativo è sorprendente: ben quattro volte, dal 3,1% al 11,1%.
Abbiamo divorato anche le giovani generazioni italiane.
Strabiliante, poi, è il commento generale:
“Il reddito di cittadinanza, insieme a quello di emergenza, avrebbero evitato ad un milione di persone, di trovarsi in povertà assoluta”.
“In assenza di questi interventi, l’intensità della povertà sarebbe stata più alta di 10 punti, raggiungendo così un picco del 28,8% invece del 18,7%”.
Traduzione: l’intensità della povertà in Italia nel 2020 è al 28,8%; ma uno Stato elemosiniere l’ha ridotta al 18,7%!
Un altro piccolo sforzo e si può eliminare anche quel 18,7%.
Della serie che Di Maio aveva ragione: “abbiamo sconfitto la povertà!”. Ovviamente si parla di gente della economia reale e del sociale; non certo di chi beneficia di uno stipendio statale o di chi lavora in esercizi necessari.
Che facciamo? Ci mettiamo a ridere o a piangere?
A questo impressionante scenario si aggiungono i costi pesantissimi di una pandemia senza fine resa ancor più pericolosa da assurdi strafalcioni governativi; si aggiunge la sorprendente siccità aiutata dalla cancrena di inesistenti interventi di manutenzione idrogeologica che una colpevole burocrazia e politica non sa nemmeno pensare; si aggiungono gli oneri non indifferenti per salvaguardare i principi valoriali occidentali minacciati dalla guerra ucraina; si aggiungono le spese per sostenere la immigrazione incontrollata e i profughi; si aggiungono gli incredibili costi delle bollette energetiche; si aggiungono i grandi costi delle “transizioni” ecologica e digitale, una lunga teoria di addendi.
Ricordiamo che la soglia di povertà assoluta, nel 2020, per un singolo individuo di età 18-59, nella periferia di una grande città con più di 250.000 abitanti, o comune sopra i 50.000 abitanti nel Centro Italia, è di € 761,02.
La soglia di povertà, per una famiglia di due persone, è di € 1.001,86.
Ma l’Istat dichiara anche che circa 4 milione di dipendenti del settore privato percepisce una retribuzione totale inferiore ai 12mila euro lordi l’anno e, ancora, oltre un milione e mezzo di lavoratori guadagna meno di 8,41 euro all’ora. Una miseria!
E così, saltano tutti i dati di prima, in netto peggioramento.
La tesi è che, in Italia, anche il lavoro è povero: roba da non credere!
Magari fosse finita qui!
L’inflazione incalza: l’Istat prevede una inflazione, a fine 2022, del 6,4% che erode i redditi della gente. A settembre, è facile prevedere che ci sarà un terremoto sociale acceso con la pericolosissima miccia di “beni più cari e potere d’acquisto più basso”.
In tutto questo disastro, uno studio di Unimpresa dimostra che lo Stato, per ora, addirittura ci guadagna. Come?
L’inflazione avrebbe assicurato alle casse dello Stato più di € 10 mld di gettito aggiuntivo nei primi cinque mesi del 2022 (+19,8%) perché l’aumento dei prezzi ha gonfiato l’IVA.
Non solo! Lo Stato, con l’aumento del prezzo dell’energia, e del gas, guadagna anche su accise in bolletta e tasse sull’energia. Senza ripercorrere tutto lo studio, citiamo solo un dato: +35,7% del fisco sul gas naturale.
Lo studio Unimprese, dunque, dice che, in questo lasso di tempo di turbolenza dei prezzi, lo Stato guadagna mentre famiglie ed economia reale boccheggiano.
Quando la turbolenza si calmerà, saranno guai anche per lo Stato e per tutta la sua tranquilla struttura, perché subiranno le ripercussioni di questo eterno periodo di crisi.
Chi metterà, allora, tutti i soldi che ci servono? Non certo il PNRR che, affidato alle amministrazioni locali, incapaci di progettare eseguire monitorare, ha perduto il suo slancio di rivitalizzazione del Paese quand’anche lo avesse mai avuto realmente.
Allora, il gattopardo ha tre strade. Aumentare le tasse, ma l’economia reale (unico e solo contribuente) è ridotta al lumicino; chiedere un prestito, ma dovremo restituirlo e, senza credibilità, è necessario disporre di un garante (l’EU propone la Germania, il che significa il funerale dell’Italia); stampare moneta, ma già l’occidente è un castello di moneta stampata che, cominciando a non valere più niente, sta scricchiolando.
Sorge il dubbio che l’attuale “governo dei migliori”, guidato da un osannato economista che in effetti è un bravo bancario, abbia preparto la chiusura “dell’Impresa Italia”: d’ora in poi, tutti dipendenti!
E, così, noialtri italiani abbiamo finito di giocare con il Bel Paese.
Antonio Vox
Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile