Dal sito https://op.europa.eu/webpub/com/factsheets/women/it/ ricaviamo alcune notizie su quanto stia facendo l’Europa sul tema della “parità di genere”.
Non c’è alcun dubbio che la disparità e discriminazione fra uomini e donne rappresenti un grande problema in seno alla EU, come in tutti i Paesi della Unione, anche se con intensità diverse.
La parità e l’uguaglianza dei diritti dei cittadini tutti, delle opportunità e dei trattamenti loro riservati, sono valori fondamentali di una società civile perché il rispetto delle identità personali, il riconoscimento delle libertà di ciascuno, il riguardo verso la dignità individuale sono i pilastri della qualità della vita di una comunità.
In particolare, come eredità della storia, la “parità di genere” stenta ad avere una applicazione armonica e reale, tanto che il trattato di Roma del 1957 ha dovuto stabilire il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro.
Ad esempio, nel mondo imprenditoriale, le donne guadagnano, in media in tutta l’UE, il 16 % in meno rispetto agli uomini; mentre le violenze e le molestie nei loro confronti rimangono diffuse.
Uno studio del 2013 ha stimato che, senza divario occupazionale, la UE beneficerebbe di un incremento del PIL di €370 mld; una proiezione del 2017 ha stimato che una reale parità potrebbe creare circa 10,5 mln di posti di lavoro, entro il 2050, con una crescita economica per la EU da €1.950 mld a €3.150mld.
Non c’è che dire: è una bella prospettiva per un PIL EU (2019) di €16.500 mld.
Quindi, fa benissimo l’Europa a porre in essere politiche mirate per far divenire realtà la “parità di genere” che noi vediamo come ovvio corollario della “parità di tutti gli uomini” sancito da numerosi trattati internazionali quali la “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” del 1948 e la “Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” del 1950.
Le iniziative politico sociali intraprese sono parecchie, diversificate e si estendono anche a Paesi extra-EU: dalla riqualificazione e miglioramento delle competenze ai servizi di assistenza all’infanzia; dalle nuove opportunità attraverso l’accesso a finanziamenti alla consulenza personalizzata; dalla formazione ai servizi di networking; dai servizi di protezione personale ai servizi di assistenza individuale.
Notiamo tuttavia che, targare alcuni di questi servizi come fattori di “parità di genere” è del tutto fuorviante perché essi sono utili e imprescindibili anche per il mondo degli uomini.
Altro tema, non di secondaria importanza, è la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, anche domestica, che, come detto, è ancora molto diffusa.
Tutte queste iniziative stano portando reali risultati: nel 2019, sul piano politico/amministrativo, le donne rappresentano in Europa il 41% di tutti i dirigenti mentre il Parlamento europeo è composto per il 39,4% da donne.
Poi, però, il 7 giugno 2022, arriva la direttiva “Women on Boards”, per la parità di genere nei Consigli di Amministrazione delle aziende quotate: le donne ai vertici delle grandi aziende dovranno essere almeno il 40%!
Infatti, in Europa, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione hanno raggiunto un accordo: “almeno il 40 per cento degli incarichi da amministratore non esecutivo o il 30 per cento di tutti gli incarichi da amministratore operativo” dovranno essere donne.
Ma non è finita: “nel caso in cui ci siano due candidati di generi diversi, a parità di qualifiche, la priorità dovrà essere data a quello femminile”.
Inoltre, le società dovranno presentare, annualmente, informazioni dettagliate sulla situazione e, qualora in difetto, dovranno programmare dettagliatamente come rientrare nei vincoli normativi.
Non potevano mancare le sanzioni: “Per chi non dovesse rispettare gli obiettivi entro il 30 giugno 2026, sono previste delle sanzioni proporzionate alle dimensioni della azienda”.
Dopo la approvazione formale e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, la direttiva entrerà in vigore entro 20 giorni.
Meno male che le PMI, con meno di 250 dipendenti, sono escluse dalla Direttiva.
Un emendamento rivoluzionario?
Macché: un emendamento di burocrazia asfissiante e di normativa demenziale perché sembra che il “merito” non conti assolutamente nulla (è importante il sesso, specificatamente femminile). Mentre si conferma la tracimazione e abuso dei poteri; mentre appare una dittatura strisciante di gente che, non sapendo fare politica, fanno le regole; mentre si registra la certezza che la “burocrazia” voglia entrare dappertutto sempre accompagnata dalla “sanzione”.
Ma il colmo è ascoltare Helena Dalli, commissaria europea all’uguaglianza, che dichiara che siamo di fronte ad un risultato che corrisponde ad “un passo in avanti alla nostra Unione, verso una società più equa, perché talenti e competenze non hanno genere”. Talenti e competenze sarebbero nascosti solo sotto le gonne?
Una lodevole iniziativa EU non è riuscita a garantire l’equilibrio e si è proiettata troppo in avanti, come una altalena; ma l’altalena, a differenza, torna indietro.
Per la cronaca, vorrei informare tutti gli eventuali lettori, a scanso d’equivoci e di accuse gratuite, che non siamo maschilisti; per noi vale la parità dei diritti, per tutti, indipendentemente dal sesso o da altre differenti amenità.
In verità, siamo di fronte ad un “ribaltamento della parità di genere” e ad una conclamata nuova discriminazione. Il salumiere sotto casa, che non ha una azienda interessata alla direttiva, mi diceva: “Ma questi, in Europa, ci sono o ci fanno”?
Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese – Economia Reale & Società Civile”