Massimo Gardelli – piano nazionale di Ripresa e Resilienza, pil, ripartenza
In questi giorni i media ci propinano dati che parlano di una timida ripartenza del PIL italiano con buona pace degli imprenditori e dei professionisti che hanno chiuso aziende e attività in questi ultimi due anni: centinaia di migliaia di famiglie che sono rimaste senza lavoro e con un futuro sempre più precario.
Ma questo ottimismo viene a essere inficiato da una consapevolezza che giorno per giorno si fa sempre più realistica.
Si ha la sensazione che questo recupero del PIL, questa ripartenza di un’Italia che ha dovuto dormire segregata per ordinanze che la storia giudicherà figlie di incapacità e incompetenza, abbia un prezzo pesantissimo, difficilmente giustificabile nella valutazione del bilancio del costi/benefici.
Il risultato in difetto va riferito non solo a quello economico ma soprattutto a quello sociale che, incomprensibilmente, viene considerato da molti di second’ordine e accettabile.
In questi giorni, accanto a questo lieve ottimismo che ci sta pervadendo grazie a strade più trafficate da autocarri e furgoni e con incidenti stradali in aumento, sintomo certo di una entropia incalzante, si evidenzia un solco che si staglia, sempre più profondo, nella nostra società.
È il solco dell’incapacità di confrontarsi a discapito di una ricerca di una verità comune che stigmatizzi l’aumento del divario fra classi sociali, da sempre separate e divise dalle politiche di governi di varia natura e colore al solo scopo di tenere sempre alta la fiamma del principio della gestione del potere: “divide et impera”.
Ora, anche le evidenze scientifiche vengono sottomesse alle opinioni politiche o preconcette a discapito di un onesto confronto democratico volto a costruire fondamenta comuni per favorire la crescita e lo sviluppo socioeconomico e lo scenario sanitario.
Lo strapotere complice dei media, nel plagiare comunicando, ha creato l’impossibilità di un confronto accademico e filosofico che potesse essere una sintesi di vari punti di vista.
Già a livello di conoscenze personali si ascoltano racconti che delineano una sempre maggiore tendenza del governo alla prevaricazione di chi deve recuperare un’economia perduta e di chi ha ricevuto solo promesse di “ristoro” mai concretamente incassati.
In questa epidemia, al grido di “così fan tutti” e di “mors tua, vitae mea”, la necessità di sopravvivenza accomuna tanti, immigrati e italiani, che accettano lavori occasionali cui è stato dato sempre più spazio grazie non solo all’emergenza ma anche alla cancellazione di diritti dei lavoratori conquistati in decenni di battaglie sindacali.
Il Job Act, oltre a favorire la precarietà ha cancellato il lavoro di qualità.
Appare molto strano come sia stato così “opportunamente” varato dalla “sinistra progressista”, calpestando, senza colpo ferire, principi indiscutibili e intrattabili opposti da sindacalisti storici come Lama e Cofferati: la “sinistra dura e pura”, quella che difendeva le conquiste post-belliche dei lavoratori, dissolta in un battito d’ali di farfalla.
La stessa “sinistra progressista” che ha ottenuto, nel recente passato, ogni sorta di vincoli burocratici per ingabbiare il turn over delle assunzioni; la stessa “sinistra progressista” che ha ucciso, pur declamandola, la meritocrazia; la stessa “sinistra progressista”, raccolta nel Partito Democratico, che si è trasformata nello strumento letale dei banchieri e della finanza.
L’inconfutabile aumento del numero dei contratti a tempo determinato, a discapito di quello indeterminato, invertendo in due anni le percentuali, hanno creato sempre più alta la domanda di lavori occasionali e di bassa qualità, “a chiamata”, creando la “competizione sul lavoro” fra immigrati e italiani, con trattamento economico e di orario che è facile definire indecente.
E il “giornalismo d’opinione”, latitante e compiacente, fa finta di nulla dedicandosi solo al pettegolezzo politico; basti ricordare la farsa Conte/Grillo.
È una lotta per la sopravvivenza, quella alla quale stiamo assistendo: l’affanno della economia reale contro poveri disgraziati lavoratori in cerca di sbarcare il salario quotidiano.
È una lotta priva di etica e morale, promossa da una classe politica inadatta e incapace, obsoleta ma agguerrita nello sgomitare per raggiungere o mantenere il “buon posto” pagato dallo Stato.
E, intanto, passano per cattivi, alternativamente, imprenditori e lavoratori senza che gli “opinionisti” compiacenti denuncino la degenerazione sociale e individuino i mandanti.
Economia reale e Società civile sul banco degli imputati mentre la “crosta di Stato”, raccoglie benefici, popolarità, esposizione mediatica; consumando abusivamente le energie di cui il Paese ha bisogno per ricominciare a crescere.
Questo è il prezzo, altissimo, che la società, tutti noi, sta pagando e continua a pagare a causa di una pessima gestione emergenziale, in una emergenza che tende a rimanere tale visto che funziona come alibi all’incompetenza, accompagnato dallo slogan “non era mai successo prima; non si poteva immaginare”.
In questa guerra, perché di guerra si tratta, si è perso completamente il concetto di solidarietà, un sentimento di appartenenza che ha fatto sopravvivere l’umanità e addirittura aumentare il legame sociale in momenti terribili come l’ultima guerra in cui, forse, si aveva meno paura delle bombe che piovevano dagli aerei rispetto alle armi subliminali e subdole mediatiche utilizzate ora.
Dobbiamo chiederci: a quale prezzo sarà la nostra ripartenza, se ci sarà?
La domanda più importante è, tuttavia, un’altra: Dove vogliamo andare? Quali le nostre mete?
Si, perché ripartire presuppone una meta verso cui andare e se si sia disposti a pagare un prezzo: significa avere la CONSAPEVOLEZZA di un futuro e, quindi, un progetto da seguire.
Ad oggi, il governo non è stato capace, nemmeno con il PNRR, d’indicare una strada per la rinascita del nostro Paese ormai in svendita al primo offerente. Purtroppo, niente di nuovo all’orizzonte: si persevera a condannare e colpevolizzare la economia reale (PMI e Professionisti) distruggendo la spina dorsale economica produttiva del Paese.
Se questa è la linea di un governo tecnico, ditemi voi cosa farebbe un governo d’improvvisati.
Massimo Gardelli – Sistema Paese – Coordinatore Nazionale per la Comunicazione