Andrea Franchifalcone, strage di capaci
Il 23 maggio, la strage di Capaci, commemorata con commozione in tutte le parti d’Italia. Ma ci sono interrogativi senza risposta. A chi giovò la morte di Falcone prima e Borsellino poi? A chi giovarono i concatenati drammatici eventi del 1992?
Era il 1992: una bomba, da una tonnellata di tritolo, posta sotto l’autostrada all’altezza di Capaci, nel tratto da Punta Raisi alla città di Palermo, esplose, con un tremendo boato e distruzione, al passaggio di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Laura Morvillo, della scorta di tre agenti.
Nessun superstite.
La sentenza di primo grado, del 26 settembre 1997, comminò 31 condanne con 24 ergastoli. La Cassazione, del 18 aprile 2003, confermò solo 21 condanne. In 11 anni, fu completato l’iter dei tre gradi di giudizio.
Quella tremenda strage che ha sorpreso l’opinione pubblica, attonita e incredula suscitò un gran clamore, non ancora spento, tanto che la Cassazione sollecitò un nuovo esame: il “Processo stralcio per Capaci e Via D’Amelio”.
Addirittura, nel 2008, il pentito Gaspare Spatuzza fornirà nuovi spunti per l’indagine sulla Strage.
Infatti, in quel terribile anno, la mafia colpì due volte, determinata e feroce: con la medesima modalità, del “tremendo boato e distruzione”, anche l’altro simbolo della lotta alla Mafia, Paolo Borsellino, fu spazzato via, con la sua scorta, appena due mesi dopo, il 19 luglio 1992.
In quel fatidico anno 1992, il paese stava attraversando un periodo di profonda crisi. Erano emersi gli scandali di Tangentopoli; le inchieste del pool mani pulite di Milano, avevano portato lo scompiglio nella vita politica dei grandi partiti, messi sul banco degli imputati, facendo franare il terreno sotto i piedi di grandi leader politici, imprenditori di spicco, e faccendieri occulti con le mani in pasta ovunque.
Era uno sciame sismico, che diventava via via più grande, e che proprio grazie a quella bomba sullo svincolo di Capaci, ebbe il suo impatto più forte e devastante; quasi a coprire, con la sua turbolenza mediatica due drammatici eventi della Repubblica Italiana: la svalutazione della lira e la contestuale ratifica del Trattato di Maastricht.
Era iniziata la fine della prima Repubblica o, meglio, di un periodo storico di sviluppo del Paese. Si aprivano panorami preoccupanti.
Chi fu a trarne i maggiori vantaggi?
Non certo la mafia, visto che poco dopo i grandi capi o presunti tali, vennero presi uno ad uno, e messi in carcere per sempre: Riina, Bagarella, Provenzano; l’ala corleonese del tutto smantellata dagli arresti dopo quelle stragi.
Ma allora chi ci ha guadagnato senza subire danni?
Dalle inchieste di Tangentopoli prima, e quelle di mafia poi, i partiti storici della prima Repubblica vennero inesorabilmente spaccati e affondati come grandi navi nel mare, tutti tranne uno, sotto i colpi della magistratura, e del giornalismo che negli anni poi si è rivelato una ulteriore arma ad uso di pochi.
Il dubbio che l’uccisione di Falcone e Borsellino non fu una vendetta della mafia ma rispondesse ad altri obiettivi serpeggia nella opinione pubblica accompagnato dal sospetto che i due magistrati, dovevano essere eliminati per impedire che scoprissero quello che non andava scoperto.
La strage di Capaci e quella di Via d’Amelio mostrano una accurata programmazione possibile solo se si dispongono di informazioni che avrebbero dovuto essere tenute riservate.
Non si può escludere la presenza di “talpe” negli apparati statali ovvero l’esistenza di una commistione di apparati statali con settori della criminalità organizzata; tacendo qui di altri settori. Una commistione che programma l’eliminazione, anche scenografica, di “punti focali” della società civile, in questo caso Falcone e Borsellino, impedisce la naturale dinamica evolutiva e risponde a logiche che decretano l’involuzione di queste dinamiche.
Qui si potrebbe aprire uno scenario di ampiezza non usuale. Noi, tuttavia, ci atteniamo ai fatti.
Andrea Franchi – “Sistema Paese” – Economia Reale e Società Civile Coordinatore “Commissione Difesa e Sicurezza”